Inutensìle (Inutensílio) (1)

di Paulo Leminski

a cura di Massimiliano Damaggio

La dittatura dell’utilità

La borghesia ha creato un universo dove ogni gesto dev’essere utile. Tutto deve avere un perché, da quando i mercanti, con la Rivoluzione Mercantile, francese e Industriale, hanno sostituito al potere quella nobiltà coltivatrice di inutili araldiche, pompe non proficue e ostentatrici cerimonie intransitive. Sembravano cose da indios. O da negri. Il pragmatismo di imprenditori, venditori e compratori mette un prezzo a tutto. Perché tutto deve produrre lucro. Da trecento anni almeno la dittatura dell’utilità è pappa e ciccia con il lucrocentrismo di tutta la nostra civiltà. E il principio dell’utilità corrompe tutti i settori della vita, fino a farci credere che la vita stessa debba portare lucro. La vita è dono degli dei e dev’essere assaporata intensamente fino a che la bomba al neutrone o lo svuotamento della centrale nucleare non ci separi da questo pezzo di carne pulsante, unico bene di cui abbiamo certezza.

Oltre l’utilità

L’amore. L’amicizia. Il convivio. L’esultanza per il gol. La festa. L’ubriachezza. La poesia. La ribellione. Gli stati di grazia. La possessione diabolica. La pienezza della carne. L’orgasmo. Questa cose non hanno bisogno di giustificazione né di giustificativi.

Tutti sappiamo che sono la finalità stessa della vita. Le uniche cose grandi e buone che può darci questo passaggio sulla crosta del terzo pianeta dal sole. Facciamo cose utili per avere accesso a questi doni assoluti e finali. La lotta del lavoratore per migliori condizioni di vita è, in fondo, lotta per l’accesso a questi beni che risplendono oltre gli stretti orizzonti dell’utile, del pratico e del lucro.

Le cose inutili (o “in-utili”) sono la finalità stessa della vita.

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