Il periodo interessato è quello che va dal 1968 al 1976 e si riferisce, come dicevo prima, agli ultimi anni del Liceo e all’inizio dell’Università, fino al conseguimento della laurea, da parte di un gruppo di giovani, ragazzi e ragazze, di Lecce o di qualche paese vicino (Solara, Cripoddi), dove sono ambientate prevalentemente le storie. Il protagonista principale è Michele Falconeri, che corrisponde all’io narrante del prologo e dell’epilogo, di cui si seguono le vicende fino al servizio militare e alla prima supplenza che ottiene dopo la laurea in filosofia in una scuola del Nord.
Ma le vicende di Michele si intrecciano con quelle dei suoi amici e delle ragazze che frequentano perché, come s’è detto, si tratta di un romanzo generazionale. Quindi la scuola, poi l’università, e ancora le loro passioni (la musica, il calcio), le relazioni sentimentali, le esperienze sessuali, le loro abitudini di vita (il mare, le gite scolastiche, le festicciole in casa). Da questo punto di vista, il romanzo è un documento di tipo quasi antropologico che serve per conoscere meglio quella generazione (di nati intorno ai primi anni Cinquanta del secolo scorso) che è diversa dalle precedenti come è diversa dalle successive. Anche perché quegli anni sono stati piuttosto turbolenti e sono stati caratterizzati da fatti rilevanti sia in campo nazionale sia in campo mondiale. Fatti che sono sullo sfondo delle vicende narrate e che emergono nelle pagine del romanzo.
Sono gli anni della contestazione, delle occupazioni delle fabbriche, delle scuole, delle università, dei movimenti operai, studenteschi, femministi che nascono non solo in Italia ma in tutta Europa e in America. Nel nostro paese si incomincia a parlare di strategia della tensione con l’attentato di Piazza Fontana a Milano nel 1969, il tentativo del colpo di stato Borghese nel 1970, la nascita delle Brigate rosse che preludono ai cosiddetti “anni di piombo”. E ho citato soltanto alcune di queste vicende.
Anche in campo internazionale si susseguono avvenimenti tragici: la guerra del Vietnam, le uccisioni, in America, di Martin Luther King (1968), Robert Kennedy (1968), l’attentato terroristico alle Olimpiadi di Monaco (1972), il golpe nel Cile di Allende (1973). E anche qui mi sono limitato soltanto ad alcuni dei fatti che sono ricordati nel libro. Questo comunque è lo sfondo storico su cui si svolgono le vicende narrate. E ovviamente anche questi fatti non possono non influire sulla vita dei giovani protagonisti del libro alcuni dei quali scelgono l’impegno politico nelle file della sinistra, come in effetti è stato nella vita reale di alcuni di loro, come lo stesso autore del libro, e altri che sono citati con i loro veri nomi come Piero Manni e Egidio Zacheo. Lo stesso narratore, però, in un brano nota la confusione ideologica che caratterizzava i giovani protagonisti:
Un po’ di Stock 84 o di Vecchia Romagna ispiravano simili sproloqui a Donato. Sproloqui che non facevano ridere nessuno, ma volteggiavano nell’aria greve del salone del biliardino o all’aria aperta nei pressi degli scalini della chiesa del Crocefisso. Anche quegli sproloqui facevano parte della generale confusione dei tempi, delle teorie che s’incrociavano con le loro contraddizioni, delle azioni che si compivano nelle strade e nelle università dove si potevano donare, indifferentemente, mazzolin di fiori o colpi di spranga.
Ciascuno viveva lo spirito dei tempi e assecondava le cose che vanno dove vogliono andare. Angelo era “quasi” convintamente democristiano, ma era rapito dalle lezioni dei suoi professori comunisti; Michele si sentiva “abbastanza” comunista ma queste lezioni lo interessavano poco o nulla; Enzo compiuto ventun anni una settimana prima delle elezioni, aveva addirittura già votato MSI alle politiche del Sessantotto, ma proponeva di fare le stesse cose di quelli della FGCI; Nello e Claudio, extraparlamentari delle retrovie, adoravano le moto di grossa cilindrata e, a sentirne rombare una, gli occhi gli diventavano lucidi come le cromature delle marmitte che sputavano quei rombi; Annamaria non si perdeva una messa e in chiesa copriva ancora il capo col velo, ma leggeva avidamente gli articoli riguardanti un fenomeno nuovo, dacché anche le abitanti dell’altra metà del cielo contribuivano al fiorire degli “ismi”… E si potrebbe continuare compilando un intero elenco telefonico, riservando ai maoisti quello delle Pagine Gialle (p. 246).
D’altra parte, mi sembra, l’attenzione prevalente dell’autore si rivolge alle storie dei singoli personaggi, alle loro vicende sentimentali, ai rapporti d’amicizia, a certi fatti, anche tragici, che li riguardano. E negli stessi protagonisti queste vicende hanno più importanza rispetto ai problemi della politica e della società, da cui pure sono attratti. In particolare, come dicevo, viene seguita la storia di Michele, il protagonista del romanzo, che intreccia relazioni con varie ragazze e, dopo aver conseguito il diploma di maturità, si iscrive all’Università di Lecce, al corso di laurea in Filosofia dove segue i corsi dedicati al filosofo francese Althusser, allora di gran moda. Lo sfondo ideologico allora, anche all’interno dell’Ateneo salentino, con qualche eccezione, era quello del pensiero marxista nelle sue varie declinazioni.
Non mancano però i riferimenti a vicende di natura sociale, politica, economica che riguardano proprio il nostro territorio. Colpiscono, ad esempio, i riferimenti all’insediamento dello stabilimento Fiat nella zona industriale di Lecce o quelli, ripetuti, all’abusivismo edilizio a Porto Cesareo che provocò la distruzione di uno degli angoli più belli del Salento.
Come s’è detto, il romanzo si rivela ricchissimo di informazioni su quel periodo. L’autore, oltre che sulla memoria, sembra essersi basato su una notevole documentazione (libri, giornali dell’epoca, cataloghi) per ricostruire con tanta precisione e minuzia quegli anni. Non manca niente, si può dire: dalla moda delle ragazze a certi oggetti “di culto”, come il registratore Geloso con i tasti di vari colori, che avevo anch’io, dalle collane editoriali economiche come gli Oscar Mondadori e i Classici Sansoni ai giornaletti osé, dai film sexy ai nomi delle attrici più famose (Gloria Guida, la Muti, la Fenech, ecc.) e a quelli degli sportivi più noti, non solo calciatori (dell’Inter, del Milan, della Juve) ma anche pugili, ciclisti (Merckx, Gimondi), velocisti come Mennea, da certe trasmissioni radiofoniche come Bandiera gialla, Hit parade, Alto gradimento a manifestazioni canore molto seguite come il Cantagiro, il Festivalbar, a certi balli alla moda (lo shake e il twist), a certi giornali della sinistra extraparlamentare (come si diceva allora), “Servire il popolo”, “Lotta continua”, “Potere operaio”. Non mancano nemmeno i nomi di tanti personaggi della cronaca, dello spettacolo, di esponenti della politica, italiana e mondiale, dai citatissimi (allora) Mao e Ho Chi Min ai nostri Fanfani e Leone, di cui si rievoca l’elezione a Presidente della Repubblica nel 1971. A questo proposito, volevo far notare che se questo romanzo avesse avuto un indice dei nomi come i libri di saggistica avremmo avuto un elenco lunghissimo ed esaustivo dei protagonisti di quegli anni nei vari campi.
Ma soprattutto riemerge la colonna sonora di quell’epoca, tanto da far parlare di una “età sonora”, che fa quasi da sottofondo alle vicende narrate e che restituisce un po’ l’atmosfera di quegli anni come solo le canzonette sanno fare, come osservò una volta Pasolini. E infatti sono centinaia le canzoni che vengono citate nel testo e che sono elencate in una Nota finale. E non si tratta solo di pezzi famosi che a volte capita di ascoltare ancora oggi ma anche di altri ormai dimenticati. E questo vale pure per i cantanti menzionati che non sono solo i più noti, in qualche caso ancora in attività, come Celentano, Mina, Morandi, Ranieri, Patty Pravo, Orietta Berti, ma anche altri caduti nell’oblio dopo un brevissimo periodo di notorietà. Ad esempio, mi ha colpito il nome di Gian Pieretti che è ricomparso improvvisamente alla mia memoria quando l’ho letto. E così riemergono complessi famosi, dai Beatles ai Rolling Stones ai Dik Dik e a l’Equipe 84, ma anche tanti altri.
Ma singolare è anche il modo in cui sono citate le innumerevoli canzonette che costituiscono una costante del romanzo, una sorta di fil rouge. A volte viene citato solo il titolo, o sono trascritti brevi brani in corsivo, altre volte le parole sono incorporate nel testo quasi ad esprimere sentimenti, stati d’animo dei personaggi. Ecco un solo esempio fra i tanti che di potrebbero fare:
Tornò un paio di altre domeniche a Lecce. Dal bar Paisiello, accanto al teatro, venivano le note di 29 Settembre, nuovissima, originalissima, bellissima. Certo, all’improvviso lei avrebbe sorriso e, ancora prima di capire, lui si sarebbe ritrovato sotto braccio a lei, stretto come se non ci fosse che lei, non ci fosse che lei… Che forti quelli dell’Equipe. L’estate prima avevano previsto il suo stato d’animo: Apro gli occhi e ti penso e ho in mente te… (p. 66).
E questo ci fa capire quanto fossero pervasive quelle canzoni trasmesse in continuazione da radio e televisione e come i loro testi, nella maggior parte dei casi estremamente banali, facessero però presa sui giovani di allora.
Ma ora, per concludere, qualche osservazione di carattere specificamente letterario. Il romanzo di Capone mi ha fatto venire a mente una poesia di Eugenio Montale che fa parte della sua prima raccolta, Ossi di seppia, del 1925 La poesia è intitolata Flussi e il titolo allude appunto al fluire delle generazioni. Qui Montale, in particolare, si sofferma sui giochi dei bambini, che si ripetono di generazione in generazione, seppure in modo leggermente diverso. Ma alla fine della prima parte riflette sul senso della vita e scrive questi versi famosi: “La vita è questo scialo / di triti fatti, vano / più che crudele”. Scialo è un termine che poi venne ripreso da Vasco Pratolini per un suo romanzo.
Ecco, anche nel romanzo di Capone si assiste in fondo alla narrazione di questo “scialo di triti fatti”. L’autore volutamente si astiene dal cercare di interpretare le vicende, i fatti, si limita a narrarli nel loro fluire. E bisogna dargli atto della cura con cui racconta queste vicende, collocate in un preciso contesto storico che viene attentamente ricostruito nei particolari, nei dettagli apparentemente più insignificanti che però servono a dare il senso di un periodo. Nel romanzo insomma tutto si mantiene sul piano della fedele, dettagliata, minuziosa ricostruzione cronachistica, quasi diaristica. È come se l’autore avesse tenuto un diario in quegli anni e se ne sia servito. Soltanto una volta, verso la fine della narrazione, sembra riflettere su quegli anni attraverso la figura del protagonista, Michele, ormai supplente in una scuola del Nord, alle prese appunto con un’altra generazione di giovani:
Un giorno in una quarta – insegnare a quelli del Commerciale c’era un po’ più di gusto se capitava una classe buona – lui che essendo un professore giovane, neanche una decina d’anni più vecchio di loro, poteva permettersi di fare quel tipo di considerazioni, tirò fuori il discorso sui giovani del Sessantotto e quelli del Settantasette. Ne parlava con loro per chiarire a se stesso.
Gli pareva d’aver vissuto, lui, un’età intessuta di melodie e di fumi ideologici, un’età sonora. Ogni tanto s’era sentito qualche colpo, che aveva rotto l’armonia ma era stato subito inghiottito da un fiume d’acque azzurre d’acque chiare. Ricordava uno slancio vitale, un aspetto giocoso, scanzonato, liberatorio, goliardico, anarcoide, che non si percepiva più.
I ragazzi lo guardavano in silenzio, a bocca aperta. Molti non capivano neppure il senso di quegli aggettivi mai sentiti. Ma il professore Falconeri parlava con una passione tale che nessuno si permetteva di distrarsi o di ridere (p. 538).
In I fiori di Althusser mancano però quelle improvvise epifanie che caratterizzano il romanzo modernista del Novecento, da Joyce in avanti, che possano rivelare il senso nascosto delle cose, il significato di questo “scialo di triti fatti” che si ripete di generazione in generazione pur con le inevitabili modifiche dovute al trascorrere del tempo. Ciononostante, però, quest’opera resta un documento estremamente importante per conoscere meglio le abitudini di vita, i gusti, le passioni di un’intera generazione. Un testo di narrativa che, da questo punto di vista, è utile forse più di tanti saggi sociologici.
[Testo della presentazione del romanzo di Daniele Capone, I fiori di Althusser, (Torino, Robin Edizioni, 2019), tenutasi a Lecce il 9 maggio 2022 presso la Sala Dante dell’Istituto “O. G. Costa”]