Ungaretti, Bo e la loro “stagione salentina”

di Antonio Lucio Giannone

Carlo Bo considerava Giuseppe Ungaretti il più grande poeta italiano del Novecento e lo seguì costantemente per oltre sessant’anni dedicandogli numerosi saggi e articoli. I due si conobbero nella prima metà degli anni Trenta a Firenze, allora capitale indiscussa  della cultura letteraria del nostro paese. Ungaretti era già ritenuto un maestro della poesia italiana,  mentre Bo si stava facendo conoscere come uno degli esponenti più in vista della giovane critica. Nel 1937 era uscito sulla rivista “Frontespizio” il suo scritto Letteratura come vita che è considerato una sorta di manifesto dell’ermetismo. Era inevitabile quindi questo incontro destinato a durare tutta una vita.

Il rapporto Ungaretti-Bo viene ora attentamente ricostruito e documentato nei due volumetti contenuti in un cofanetto, dal titolo Ungaretti, un poeta da vivere (Fondazione Carlo e Marise Bo, Raffaelli editore), a cura di Eleonora Conti. Il primo tomo contiene ventotto scritti del critico ligure sul poeta che vanno dal 1939 al 2001. Il secondo, che ha una prefazione di Carlo Ossola, contiene le lettere tra i due, dediche di Ungaretti a Bo sui suoi libri e riproduzioni fotografiche di alcuni articoli.

         La curatrice, nella sua Introduzione, chiarisce bene alcuni motivi che accomunavano i due fin dall’inizio: da un lato la passione per i grandi poeti francesi e la lezione del simbolismo, dall’altro la predilezione per Leopardi. Ma soprattutto Bo vedeva in Ungaretti “l’incarnazione stessa della poesia”, la sua “dimora” vivente, come egli stesso scrisse in un saggio. Le sue preferenze andavano verso certi testi che dimostravano la “sofferta religiosità” del poeta, in particolare gli Inni del Sentimento del tempo e la raccolta Il Dolore. Ungaretti, per il critico, era al tempo stesso un “rivoluzionario” e un “classico” perché con il suo primo libro, L’Allegria, aveva proceduto a un radicale rinnovamento del linguaggio poetico, mentre col secondo, Sentimento del tempo, aveva recuperato in forma moderna la più illustre tradizione lirica italiana, da Petrarca a Leopardi.

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