Nel 1956, alunno del collegio dei padri maristi di Curitiba, Leminski “decide”, se così si può dire, d’imparare a memoria ciò che lo interessa: interi vocabolari di francese, inglese e latino.
Due anni dopo, su consiglio degli stessi maristi, entra come internista nel collegio San Benedetto di San Paolo. In poco meno di due anni arriva a dominare il greco antico e il latino. Pare che durante la sua permanenza al collegio, affascinato dalla tradizione secolare dei benedettini, abbia scritto il suo primo abbozzo di libro: le biografie dei principali santi dell’ordine, studiando la vita del patriarca, San Benedetto da Norcia, su un documento in latino del 593 composto dal papa Gregorio Magno.
È sempre al collegio San Benedetto che avviene il suo primo incontro con le filosofie orientali, cosa che lo condurrà, più tardi, alla pratica delle arti marziali, allo studio del giapponese e allo haiku.
Va già prendendo forma ciò che potremmo chiamare la “leggenda” del Leminski coltissimo e poliglotta, e inizia anche a manifestarsi il suo carattere gaudente, fisico, “pagano” e ribelle. Infatti viene espulso dal collegio.
“È che avevo scoperto la donna. Al monastero sentivo delle cose, dei brividi che mi facevano pensare: o è l’arcivescovo o è qualcuno. Era la donna. Allora, pensai, ci sono cose migliori di Dio… Avrei buone ragioni di credere che il mio album segreto di Brigitte Bardot fu scoperto per via del confessionale. Facevo allusioni alla mitologia, a Onan… E prendevo un sacco di Ave Maria come punizione.” (2)
Questa breve “mitologia adolescenziale” basta a delineare la rotta che Leminski darà alla sua vita. Ribelle per natura, diventerà negli anni ’70 il punto di riferimento della “cultura alternativa”, o “controcultura”, come si diceva allora, della sua città, Curitiba.
All’esame d’ammissione alla facoltà di lettere si classifica primo, frequenta per poco più d’un anno e poi abbandona. Ciò nonostante diventa un professore “indimenticabile” dei cosiddetti “cursinhos”, i corsi propedeutici all’esame d’ingresso all’università. Per quanto si sentisse
“…un professore frustrato. Penso d’essere un professore nella misura in cui riesco a trasmettere chiarezza, perché cerco chiarezza per me, per le cose che m’interessano. Ma succede che nella meccanica della trasmissione del sapere c’è un punto incompatibile con il mio lato alternativo, mezzo hippy, mezzo bandito. Svegliarsi alle 8, di lunedì, per far lezione, è incompatibile con me. Ho ereditato tutto un banditismo mezzo bohème, che è un dato mio fondamentale. Sono un bandito che sa il latino.” (3)
Poi abbandonerà anche l’insegnamento per guadagnarsi da vivere con la pubblicità.
Dopo una gestazione di otto anni, nel 1975 pubblica il romanzo Catatau, oggi ritenuto fra gli apici di ogni tempo della letteratura sperimentale in lingua portoghese.
Scoppia il “fenomeno” Leminski che, una volta di più, rovescia il destino che aveva per sé dipinto:
un giorno
sarei stato omero
per opera nientemeno che un’iliade
poi
quant’è dura la salita
magari un rimbaud
un ungaretti un fernando pessoa qualunque
un lorca un éluard un ginsberg
infine
eccoci il piccolo poeta di provincia
che siamo sempre stati
dietro le tante maschere
che il tempo ha trattato come fiori (4)
Traduce Joyce, Mishima, Ferlinghetti, Petronio, Fante, Jarry, Beckett. Scrive quattro splendidi saggi-biografie: Bashō, Gesù, Cruz e Sousa, Trotzki. Compone canzoni incise, fra gli altri, da Caetano Veloso, Itamar Assumpção, Ney Matrogrosso.
(“Verdura” di Leminski interpretata da Caetano Veloso)
E ancora: è giornalista, critico letterario, acutissimo intellettuale, ingombrante agitatore culturale, conduttore del programma televisivo “Jornal da vanguarda” della “TV Bandeirantes” – capace di parlare di poesia in modo innovativo e “multimediale”.
(Leminski che parla del “graffito” come forma di letteratura del XX secolo alla TV Bandeirantes)
Spesso incluso in quella che viene chiamata poesia “marginale” degli anni ’70:
“poesie brevi, “flash” istantanei, registrazioni-lampo di mini-esperienze, scoppi lirici, di breve durata ed effetto immediato […] distribuita in mini-edizioni ciclostilate, fogli sciolti, alla fila dell’autobus o al cinema, allo stadio o ai concerti rock” (5)
Leminski è programmaticamente distante da questo movimento spontaneo che non fu mai un vero e proprio “movimento” ma ne condivide le idee di disobbedienza, disordine, divertimento e ozio. Fa, cioè, del proprio comportamento un’arma contro lo status quo che, a quell’epoca, era la dittatura militare.
“Contro il serio conservatorismo degli anni ‘60, il recupero della poesia come pura allegria d’esistere, essere vivi e, soprattutto, non avere ancora 25 anni. Fu una poesia fatta da gente estremamente giovane, poesia di pivelli per pivelli, tutti a giocare ad Omero. Senza questa dimensione, la poesia diventa un dipartimento di Semiologia, di Linguistica o una branca delle Scienze Sociali. La poesia degli anni ‘70, incoerente, irresponsabile, senza pretese, ha recuperato la dimensione ludica.” (6)
Di questa dimensione ludica, in Leminski ritroviamo il tocco umoristico e il linguaggio colloquiale. E di certo il rifiuto verso la poesia “impegnata” politicamente che strumentalizza l’arte.
La sua rotta però sembra coincidere maggiormente con le sei proposte delle “Lezioni americane” di Calvino, come sostiene Nanci Maria Guimarães nella sua tesi di dottorato Leminski: linha mínima: (7)
“Nell’opera di Paulo Leminski, leggerezza, rapidità ed esattezza […] sono intimamente intrecciate. Questi concetti sono presenti nella sua scrittura quando avviene l’allontanamento dalla referenza, la contemplazione dei piccoli miracoli quotidiani, la rarefazione del linguaggio. Ma fanno anche parte di una forma orientalizzata di vedere il mondo, basata sulla filosofia “zen” buddista”. (8)
Sulla “rapidità” e l’“esattezza” è lo stesso Leminski che, nel documentario del 1982 Ervilha da fantasia, dice:
“Io pratico lo judo, da cui ho imparato molto per quanto riguarda la poesia. Nel senso di contare sempre sulle proprie forze per poter tirar fuori da sé tutto ciò che è necessario al momento decisivo. E soprattutto per la capacità di non esitare di fronte a un’intuizione. Perché, così come nella poesia, nello judo anche un secondo d’esitazione ti può essere fatale. Quello che al momento cerco nella poesia non è tanto l’“artigianato”, nel senso di rifinire il testo perché sia “bello”. No. È compiere un movimento di tal forma fedele al movimento interiore, che riesca con la stessa rapidità e precisione di un colpo di karate.” (9)
(“Ervilha da fantasia”, 1985)
La “visibilità”:
“La sua estetica rivela che pensare per immagini è fondamentale in una società che ne è dominata. […] Per questo ricorre a nuove combinazioni del possibile con l’impossibile, fa connessioni non tradizionali che rompono frontiere e dislocano sensi e si allontana dal riferimento. […] Associando le estetiche della letteratura a quelle della società, principalmente a quelle della pubblicità, Leminski utilizza alcuni importanti espedienti per creare immagini rilevanti: prossimità, suggestione, successione, rapidità, sensualità e metafore. Nel dare visibilità al testo, rinvigorisce la lingua, de-automatizza lo sguardo. Richiamando a uno sguardo più attento e lento, la sua poesia apre uno spazio per la riflessione.” (10)
Ma più interessante, essenziale, è la sua “molteplicità”, che la Guimarães condensa nella frase “l’incontro dei contrari”, o, direi, la loro “fusione”. Omero e l’avanguardia del Concretismo. L’atteggiamento “marginale”, alternativo e, ancor più importante, quello “tropicalista”. Quindi, implicitamente, anche l’“antropofagia” di Oswald de Andrade (padre onnipresente della cultura brasiliana da ormai cento anni). La via zen dello haiku e dello judo, di cui era cintura nera. Il linguaggio pubblicitario. Lo slogan. I graffiti. La televisione. Il giornalismo. La musica pop. Il bagaglio di conoscenze, esperienze, attitudini e voci assolutamente diverse fra loro che formano l’uomo Leminski è dal poeta utilizzato per costruire in poesia un’identità nuova, polifonica, un’opera assolutamente peculiare dove forma, pensiero e immagine raggiungono pienezza e potenza.
Per questo, in fondo, Leminski è capito, amato e letto. Non per come è vissuto, cosa di per sé affascinante data la totale fusione fra arte e vita, ma perché ha saputo includere nel proprio linguaggio ciò che sembrava inconciliabile e che invece è recepito dal lettore di oggi. E lo ha fatto realizzando punto per punto un preciso progetto artistico.
Il titolo del libro Caprichos & relaxos, del 1983, è a tutti gli effetti un manifesto programmatico. Tradurre l’espressione “caprichos e relaxos” è assolutamente impossibile. “Capricho” significa “capriccio”, “stravaganza” ma anche “accuratezza, cura, zelo”. “Relaxo” viene da “relaxar”, “rilassarsi”, ed è aggettivo: “rilassato”. Ma nel Brasile del nordest significa anche “discorso in versi”. Un incontro di contrari, parte di una chiarissima strategia approfondita nel libro successivo dell’87, Distraídos venceremos (“Distratti vinceremo”), dove Leminski vuole ridurre, o eliminare, la distanza fra espressione e realizzazione, in un pensiero-sintesi dei suoi studi zen. Fonte di tutto ciò, il monaco giapponese Takuan Soho (1573-1645) e la sua “Lettera sulla comprensione immobile”, di cui Leminski ha ampiamente trattato in “Bashō, la lacrima del pesce”:
“In ognuno di noi esiste ciò che si chiama “comprensione immobile”. Questo devi esercitare. Immobilità non vuol significare essere come una pietra o un tronco d’albero senza intendimento. La comprensione immobile è quanto di più agile vi sia al mondo, pronta a intraprendere ogni possibile direzione e non ha essa alcun punto su cui sosta. Immobile vuol significare senza eccitazione, non fissare né trattenere l’attenzione sopra un unico punto, in tal maniera impedendo ad essa di dirigersi su altri punti che in continuazione si susseguono. La v’è un albero con molti fusti e rami e foglie. Se la tua mente si limitasse a una di quelle foglie, non potresti tu vedere tutte le altre, mentre ne vogliamo vedere la totalità. Perciò, non dobbiamo trattenerci in alcun punto che tolga integrità alla sequenza dell’esistente.” (11)
Insomma un progetto di poesia, come di pensiero e di vita, che questo bohémien impenitente con la passione distruttiva per la birita, il bere, ha seguito fino alla fine.
Chi non ha visto
mai
che fiore, lama e fiera
uno o l’altro tanto fa,
e il forte fiore d’una lama
in carne lenta,
un po’ meno, un poco più,
chi non ha mai scorto
la dolcezza che scorre
a filo di lamina samurai,
chi no, non sarà capace mai. (12)
Senza mai perdere la rotta.
[Prefazione (adattata per “Iuncturae”) a Paulo Leminski, Distraídos venceremos Distratti vinceremo, L’arcolaio, 2021.]
Note
(1) “um poema / que não se entende / é digno de nota // a dignidade suprema / de um navio / perdendo a rota”, in Caprichos & relaxos, Brasiliense, 1983;
(2) Intervista per il quotidiano “Estado de Paraná”, 22.10.1982;
(3) Dalla biografia di Tonino Vaz, Il bandito che sapeva il latino, Editora Record, 2001;
(4) “um dia / a gente ia ser homero / a obra nada menos que uma ilíada // depois / a barra pesando / dava pra ser aí um rimbaud / um ungaretti um fernando pessoa qualquer / um lorca um éluard um ginsberg // por fim / acabamos o pequeno poeta de província / que sempre fomos / por trás de tantas máscaras / que o tempo tratou como a flores”, in Caprichos & relaxos, Brasiliense, 1983;
(5) Paulo Leminski, “Il boom della poesia facile”, in Ensaios e anseios crípticos, Criar Edições, Curitiba, 1986;
(6) Ibidem;
(7) Nanci Maria Guimarães, Leminski: linha mínima, p. 49, Universidade Federal do Rio de Janeiro, 2008;
(8) Id., p. 68;
(9) Paulo Leminski in Ervilha da fantasia, di Werner Schuman, 1982;
(10) Nanci Maria Guimarães, Leminski: linha mínima, Universidade Federal do Rio de Janeiro, 2008, pp. 91 e 92;
(11) Takuan Soho (Giappone, 1573-1645), La saggezza immutabile;
(12) “Quem nunca viu / que a flor, a faca e a fera, / tanto fez como tanto faz, / e a forte flor que a faca faz / na fraca carne, / um pouco menos, um pouco mais, / quem nunca viu / a ternura que vai / no fio da lâmina samurai / esse, nunca vai ser capaz.”, Aço em flor (Acciaio in fiore), in Distraídos venceremos, Brasiliense, 1987.