Andrea Carrozzini è un giovane dottore di ricerca in Italianistica dell’Università degli studi del Salento che negli anni scorsi ha già fatto parlare di sé con la pubblicazione di un volume di studi pascoliani, Da Myricae a Odi e Inni. Percorsi testuali e tematici della poesia pascoliana (2009) e con la cura degli atti di un convegno internazionale di studi dal titolo Teorie e forme del tradurre in versi nell’Ottocento fino a Carducci (2010), entrambi editi da Mario Congedo di Galatina. In questa sua terza fatica, Carrozzini si cimenta con il poeta di Zante, che con la sua opera sembra chiudere il Settecento, il secolo della ragione, ed inaugurare il nuovo secolo, quello delle passioni.
In Foscolo la letteratura, come recita il titolo del saggio, fa i conti con le passioni dell’uomo in un orizzonte polemico che prende di mira le regole retoriche e il bello stile con cui la ragione calcolatrice e normativa aveva asservito la pratica poetica. Ed invece, scrive Foscolo “La ‘sostanza dello stile’ … sta nella maniera di concepire i pensieri e di sentire gli affetti. Onde l’autore che pensa fortemente, che vede i pensieri chiaramente e che sente con veemenza le passioni, trova agevolmente parole nella sua lingua, quando egli la abbia studiata, e sa senz’affettazione prevalersi de’ tesori di sintassi che i nostri antichi ci lasciarono ne’ loro libri”. L’insofferenza di Foscolo verso ogni recinto retorico e verso la grammatica (che viene sempre dopo il forte sentire del poeta), si evidenzia bene in questa citazione che Carrozzini (p. 56) ha tratto da una recensione foscoliana al Saggio di novelle (Parma, 1803) di Luigi Sanvitale. Occorre studiare gli antichi e “prevalersi” dei loro tesori linguistici, poiché senza lo studio della tradizione letteraria antica nulla potrà dirsi di nuovo e di vero. Di qui l’importanza della traduzione dei poeti e degli scrittori antichi, argomento cui Carrozzini dedica soprattutto il primo capitolo del volume, che significativamente si intitola: Lo ‘stile delle passioni’ tra critica, traduzione e invenzione.
Il secondo capitolo, dal titolo La “facoltà pittrice è dote essenziale al poeta”: arte e poesia, prende in esame il rapporto delle arti con la poesia, nel quale deve sempre valere il principio, come scrive Carrozzini, che sia il genio dell’artista ad avere la meglio su ogni poetica normativa: “Ciò che il poeta di Zante mette in discussione è l’autorità della poetica normativa: all’idea di regole universali egli contrappone il ruolo dell’attività soggettiva e creativa del Genio” (p. 84).
Il terzo e ultimo capitolo, intitolato L’armonia e le dissonanze nelle “Ultime lettere di Jacopo Ortis”, è dedicato all’opera che inaugura la storia del romanzo dell’Ottocento italiano, l’Ortis appunto. Carrozzini vi individua temi e fonti, soprattutto nell’opera di Vittorio Alfieri e di Laurence Sterne.
Nelle pagine finali, Carrozzini ha fatto bene a riprodurre l’orazione Dell’origine e dell’ufficio della letteratura che Foscolo pronunciò a Pavia il 22 gennaio 1809 dopo essere stato nominato professore di eloquenza; ha fatto bene, poiché è questo certamente uno dei testi più significativi della poetica foscoliana, che a tutti sarà utile rileggere. Ha fatto male, invece, a omettere un indice dei nomi, che avrebbe potuto rendere agevole la consultazione del volume, e una bibliografica finale, che il lettore dovrà ricavare dalle note a piè di pagina.
In conclusione, culto della bellezza, della storia, culto delle illusioni, le forti passioni che sono il sale della vita se si traducono in poesia: tutto questo e altro ancora si potrà leggere nel Foscolo riflesso dalle pagine di Carrozzini. E se vi sembra troppo – ma oggi una retorica di questo genere non è mai troppa perché può far argine al culto del brutto, del mero presente, della disillusione più tetra e delle fiacche passioni – allora aggiungete a questa un’altra lettura: C. E. Gadda, Il guerriero, l’amazzone, lo spirito della poesia nel verso immortale del Foscolo, divertendovi a miscére sacra profanis del nostro, che il gran lombardo chiamava ironicamente “Niccolò Ughetto”, “il grecista! Il figlio della Diamantina! Il Basetta!”.
[“Il Galatino”, anno XLV – n. 4 del 24 febbraio 2012, p. 4]