Flatus vocis di Corrado Bologna. Per una poetica della voce

di Antonio Prete

Flatus vocis di Corrado Bologna (con il sottotitolo Metafisica e antropologia della voce e con prefazione di Paul Zumthor, Luca Sossella editore 2022) è un libro preziosissimo. Perché mostra e interpreta con mirabile misura e chiarezza il diorama meraviglioso di saperi e di discipline che ci dicono della voce: dalla fonetica all’antropologia, dalla mantica antica alle religioni, dalla poesia al teatro, dall’esegesi dei testi evangelici e liturgici alla psicoanalisi, dalla storia delle passioni alla storia dell’ascolto. E perché ha, appunto, una sua propria, indimenticabile voce d’autore. Una voce che di volta in volta  si intona con nitore e insieme con calore al tema della trattazione, sia questo la voce del silenzio o la voce del corpo, la voce d’amore o la voce che viene dal pulpito, la voce della possessione o la voce che muove verso le vocali e verso il canto.  

Il saggio si fa racconto, l’erudizione diventa escursione che sa intrattenere il lettore conducendolo in terre inesplorate e convocando pensieri, pratiche rituali, orizzonti di senso, variazioni ermeneutiche intorno a una tradizione o a un concetto che ha per oggetto la voce. La voce che è ruah, cioè soffio che dà vita e presenza, ánemos, ovvero anima e vento, respiro, pneuma, pulsione profonda che si fa suono, movimento sonoro che annuncia e sostiene il verso. La voce che resiste come grana essenziale del poetico,  nella musica delle vocali, nel suono delle sillabe, nel bianco della sospensione e dell’attesa, nel pianto e nel grido. La voce che è connubio con la fisicità corporea e organica,  con le rappresentazioni fantasmatiche dell’oltre, dell’estraneo, del demonico, ma anche del divino, dell’invisibile, dell’inudibile. La voce che è fiato delle passioni, modulazione del silenzio, figurabilità dell’assenza – l’amor de lonh della poesia d’amore medievale –, del desiderio e dell’indicibile.

Non è un saggio, questo, sull’oralità, che è forma sonora della parola  – l’autore sin dalla soglia ne mostra la differenza – ma su quell’immensa regione, in parte visibile in gran parte nascosta, che è l’al di qua della parola, il suo prima che è insieme il suo oltre, il suo fondo oscuro o originario che è anche la sua negazione. Terra dell’ in-fanzia e del non sapere, dell’ebbrezza e del numinoso. Immensa regione del puro significante non incatenato nella rete della significazione. Il saggio di Corrado Bologna, via via che il lettore indugia e progredisce nelle sue pagine, appare come uno studio accuratissimo sui confini della parola, su quei confini la cui frequentazione e conoscenza ci permettono di sentire la vita che trascorre nella parola. E poiché tutte le arti hanno a che fare con questa vita – in particolare la poesia, il teatro, la musica – questo libro è una sorta di necessaria introduzione al loro esercizio.

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