Gobetti e dintorni 7. Un epigono di Gobetti: Franco Antonicelli letterato*

di Giuseppe Virgilio

Franco Antonicelli

Nella nostra società gli uomini che si confrontano continuamente coi propri maestri diventano sempre più pochi e per questo è doveroso riandare ai loro tempi, ai loro amici, alla loro opera.

Franco Antonicelli è stato uno di questi uomini. Il primo amico della sua vita e della sua giovinezza, del tempo in cui l’amicizia con un uomo è più grande e conta più dell’amore con una donna, è stato Leone Ginzburg, il giovane esule dalla patria materna, la Russia, rivelato a se stesso ed ai compagni del Liceo D’Azeglio di Torino da Umberto Cosmo, il maestro destituito dall’insegnamento nel 1926 per antifascismo e del quale ci rimangono gli originali studi su Dante. Al Cosmo subentra, come giovane supplente, proprio Franco Antonicelli. Nella biblioteca degli studenti Ginzburg conosce Augusto Monti e, per mezzo suo, anche Pavese, e nasce così negli anni Trenta a Torino tra i quattro uno dei pochi, se non l’unico, cenacolo politico, morale e culturale dell’Italia civile rispetto all’altra Italia, quella del fascismo.

Quando Franco Antonicelli nella primavera del 1944 viene trasferito da Roma nelle carceri di Castelfranco Emilia ed ha notizia della morte in carcere di Ginzburg, egli rivive lo spirito di quel sodalizio in un breve frammento poetico dal titolo Cartolina a Pavese, dove la luce  della poesia s’invera proprio nella chiusa, quando tocca l’ombra dell’amico non nominato, Leone, ormai dopo la morte divenuto giudice della coscienza e delle opere, gli “stenti” dei suoi compagni superstiti.

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