Questi e molti altri pensieri si susseguivano nella mia mente nell’attesa che il verde scattasse al semaforo di viale Michele De Pietro, costeggiando le “Officine Cantelmo” e osservando a sinistra l’imponente costruzione del nuovo parcheggio auto, simbolo della città del XXI secolo, che occupa lo spazio dell’antica centrale elettrica e sovrasta la costruzione, ora abbandonata, che ospitava l’amministrazione e i macchinari della tramvia elettrica Lecce-San Cataldo. Ancora visibile sulla facciata principale la scritta “Impresa Elettrica Ruggieri- Koppel”, quasi tutta coperta dalla coltre del tempo.
Quasi certamente quel rudere, che un’amministrazione attenta e sensibile al recupero della memoria storica della città potrebbe trasformare in un museo dell’industria cittadina, non dice nulla a molti leccesi e, soprattutto, ai più giovani. Ma quell’area, occupata dal nuovo parcheggio, era il cuore pulsante della Lecce moderna dell’ultimo decennio dell’800 e il primo quindicennio del ‘900, che dislocava i suoi opifici e le sue strutture industriali lungo l’attuale viale Michele De Pietro, allora viale d’Italia. La Koppel era una delle più importanti imprese di costruzione ferroviarie e tramviarie tedesche che aveva commesse in tutto il mondo, compresa la città di Lecce. Qui impiantò nel 1898, su iniziativa dell’ing. Pasquale Ruggieri sorretta dal sindaco Giuseppe Pellegrino, la prima tramvia elettrica di tutto il Mezzogiorno e la più lunga d’Italia. Contestualmente all’impianto della tramvia elettrica la città si dotò della luce elettrica, che sostituì quella a gas gestita fino allora da un’impresa francese. Il capitale industriale tedesco faceva l’ingresso in una città del sud sostituendo quello francese. Accanto alla centrale, dove ora sorge il tribunale, erano ubicati il gazometro, una fabbrica di birra, una fabbrica del ghiaccio artificiale; proseguendo fino all’incrocio con l’attuale superstrada erano attivi opifici e laboratori artigianali che durante il primo conflitto mondiale furono trasformati in sartorie per vestiario militare. Sul lato opposto, su suoli concessi a titolo gratuito per dieci anni dal Comune, furono impiantate le “Officine Cantelmo”, lo stabilimento dei fratelli Nuzzo, e in un connubio tra artigianato e formazione artistica, fu impiantato l’Istituto d’arte, titolato non a caso al sindaco Pellegrino, suo promotore.
Lecce, in quel periodo, pulsava di modernità e si poneva all’avanguardia dei processi di mobilità, sanitari e sociali più innovativi. Un processo dovuto a una classe dirigente che proiettava la città verso il futuro, verso una progettualità che manteneva salda la struttura urbanistica e barocca del centro storico. Basti osservare le simmetrie delle ville e dei palazzi attorno ai viali; il grande contenitore in cemento per la raccolta e la distribuzione dell’acqua potabile (l’acquedotto cittadino Cozza-Guardati); i regolamenti urbanistici emanati, ecc. Non a caso Lecce era ammirata dai viaggiatori stranieri che di volta in volta scendevano al Sud e, non essendo Lecce una città di passaggio, vi giungevano di proposito per visitarla. A loro si offriva l’immagine di una città “bella, colta, gentile”, come veniva descritta nei loro diari. Chissà cosa direbbero oggi se qualcuno di loro venisse a visitarla di nuovo!
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 22 maggio 2022, p. 13]