di Ferdinando Boero
Il nome della legge Salvamare, appena approvata dal Parlamento, dice che il mare va salvato. Salvato da cosa? Salvato da noi!
Con i suoi ottomila chilometri di coste, e la biodiversità più ricca rispetto a tutti gli altri paesi dell’Unione Europea, l’Italia dovrebbe avere una fortissima vocazione marina. Se dobbiamo salvare il mare, però, è ovvio che il nostro comportamento, fino ad ora, non è stato rispettoso del patrimonio naturale del nostro paese.. Ora ci siamo accorti che il mare va salvato.
Dal mare traiamo risorse alimentari, lo usiamo come via di comunicazione, e ne usufruiamo durante le nostre vacanze. Il turismo balneare è una componente importante del nostro Prodotto Interno Lordo, grazie alla qualità delle nostre coste. Per usufruire della risorsa mare abbiamo costruito porti e porticcioli, e infrastrutture recettive costiere con l’intento di ricavare guadagni economici dalle risorse naturali. Abbiamo sviluppato la pesca industriale e l’acquacoltura per estrarre risorse alimentari di origine marina. Oltre ad “estrarre”, però, immettiamo: molto di quello che produciamo a terra arriva al mare attraverso i fiumi e il dilavamento sul terreno. I reflui urbani e industriali hanno il mare come destinazione ultima, per non parlare dei fertilizzanti e dei pesticidi di origine agricola. Anche la spazzatura finisce in parte nell’ambiente marino, e di questo si occupa la Salvamare. La plastica che sta caratterizzando sempre di più le nostre acque, sia come macroplastiche, visibili a tutti, sia come microplastiche, invisibili ma ben più pervasive, ha origine a terra. I pescatori, soprattutto con la pesca a strascico, tirano a bordo ingenti quantità di rifiuti solidi, in gran parte a base di plastica.