di Giuseppe Virgilio
Nel numero 32 del 2 settembre 1924 de “La rivoluzione liberale”, Piero Gobetti in una postilla allo scritto di Guido Mazzali dal titolo Come combattere il fascismo, puntualizza così il suo pensiero. Il problema italiano sta nella liquidazione dello spirito e delle forme del trasformismo, dell’accomodantismo e della corruzione oligarchica che è stata rappresentata dai vecchi ceti sedicenti democratici e che il fascismo ha portato alle estreme misure di impudicizia e di trafficantismo. Ad un certo punto, tra l’altro, Gobetti scrive così: “(…) Nessuna illusione di liquidare il fascismo coi giochetti parlamentari, con le combinazioni della maggioranza, con lo Stato Maggiore, con la rivolta dei vari Delcroix e simili aborti morali (…)”. Il brano, e specialmente l’espressione “aborti morali”, viene subito incriminato. La stampa italiana si solleva contro Gobetti che è aggredito a Torino, davanti a casa sua, la sera di venerdì 5 settembre ad opera di una dozzina di picchiatori.
Per intendere il riferimento all’on. Delcroix ed il senso della sua rivolta, bisogna precisare che egli durante il congresso dell’associazione mutilati e invalidi nel luglio di quell’anno, come presidente dell’associazione e deputato della maggioranza fascista, ha inviato a Mussolini un’esortazione a mettersi sulla via della legalità e della pacificazione dopo il delitto Matteotti. Intanto l’aggressione viene narrata da “La Stampa” di Torino come se un mutilato si fosse presentato da Gobetti e lo avesse schiaffeggiato, senza suscitare alcuna reazione da parte di Gobetti medesimo (per pavidità?). Allora Gobetti capisce che si vuol porre in atto un freddo tentativo di falsificare il suo pensiero per stroncare come mostruosa ogni sua attività e seppellire così una voce non abituata a tacere per compiacenza. Per chi è disposto a giudicare in buona fede, egli manda la seguente lettera ai giornali: