di Giuseppe Virgilio
E’ manifesto che il dibattito politico ha sempre influenzato profondamente lo sviluppo di ogni attività letteraria. Ciò si rivela soprattutto negli scritti di prosa, e perciò è opportuno tenere presente la natura della “retorica” come codice di quell’attività in ogni suo genere. Qui noi per “retorica” intendiamo non tanto, secondo la distinzione aristotelica, la scienza del “probabile” di contro alla “logica”, che è la scienza del “vero”, bensì una scienza che, da una concezione prima tutta incentrata sulle capacità tecniche, evolve in un ideale più ampliamente umanistico per il quale il tecnicismo di tipo aristotelico viene superato da una solida preparazione filosofica che consente di dominare le scienze umanistiche medesime. Naturalmente tutto ciò è in relazione con l’evoluzione che caratterizza la vita e l’opera dello scrittore.
Nella letteratura politica contemporanea ci appaiono paradigmatici, nel senso sopra indicato, gli strumenti linguistici adoperati da Piero Gobetti.
Chi analizzi con acribìa la sua scrittura, scopre un assai frequente ricorso al paradosso, cioè ad una tecnica linguistica attraverso la quale viene enunciata un’opinione che, o per la forma in cui è espressa oppure per manifesta verità, appare contraria al comune giudizio e talora inaccettabile. Questa tecnica viene a Gobetti dallo studio dello stoicismo. Questa dottrina filosofica del mondo antico ha elaborato, dopo che si è logorata la connessione tra natura e linguaggio del pensiero platonico-aristotelico, elemento base della filosofia del sapere, il principio di coincidenza tra “logica”, cioè lo studio di come si pensa, e “dialettica”, cioè l’arte del pensare.