di Antonio Devicienti
Quel mattino le capre scesero per le rocce tra le scogliere di Leuca e s’immobilizzarono stregate dallo spazio marino, dilatato oltremisura.
Dove si congiungono la pietra e il mare è il luogo sacro e magico detto tragìa, il luogo delle capre, dove il pensiero si trasforma in parola di canto e un dio, forse, assiste.
SCIROCCO, vento delle ossessioni.
Nell’Oltremare, al di là di Capo d’Otranto, al di là di incerti vapori soffiati via dal vento, al di là dei cangiamenti imposti da una storia vile c’è Bisanzio, l’antica Capitale.
Quando l’imbrunire oscura le foglie dei limoni e degli olivi, laggiù, nell’Oltremare, e i fanali delle navi da carico che transitano per il Bosforo si accendono, ininterrotto un canto sgorga dalle pietre delle Blacherne, la Luna viene partorita nelle cisterne dove l’acqua dolce si condensa in luce e, con atto magico, si solidifica in pietra. Allora si muovono le processioni dalla Cappadocia e dalla Bitinia, dalla Paflagonia e dalla Tracia, convergono su Costantinopoli. Ogni notte gli antichi teologi discendono nell’immane cisterna sotto il distrutto Palazzo imperiale a discutere se prevalga la natura divina o la natura umana del Cristo (: la questione non è stata ancora risolta e nulla, neppure nella natura della luce e dell’acqua, dà segni che una soluzione si approssimi).
Le pareti della cisterna s’innalzano altissime a sostenere le volte e i suoni si dilatano in quello spazio quasi del tutto abbandonato dall’acqua. È così che lungo le rampe da cui un tempo ci si sporgeva ad attingere l’acqua per la mensa imperiale le pallide parvenze di maghe tessale, di astronomi alessandrini, di ammiragli illiri, di musici egizi invocano il sorgere della Luna. Hanno occhi spalancati sul sogno e, con la forza dell’incantagione, evocano le membra dell’Astro notturno il quale qui, nella grande cisterna, diviso e seviziato dai morsi della violenza si ricompone in un enorme globo di luce e si transustanzia in pietra.