Il ‘primo tempo’ della poesia di Cristianziano Serricchio

Non è strano quindi il rapporto che nasce, fin dall’inizio della sua attività, tra Serricchio e Comi a cui egli manda la sua prima raccolta, recensita sull’«Albero» da un giovane collaboratore, Donato Valli[5]. Un’altra recensione al secondo libro, L’ora del tempo, di cui era autore Bortolo Pento, esce sullo stesso numero della rivista comiana[6] in cui Serricchio pubblica la poesia Se mi offri le braccia[7], poi confluita nella raccolta L’occhio di Noè, del 1961[8]. L’ora del tempo, peraltro, era stata pubblicata proprio dalle Edizioni dell’«Albero» nella collana di poesia «La misura del tempo», diretta da Vittorio Pagano, poeta e traduttore, anch’egli collaboratore della rivista. Serricchio, ancora, dal canto suo, pubblica una recensione della raccolta Canto per Eva di Comi nella «Fiera letteraria»[9]. Inoltre nell’Archivio Comi, a Lucugnano, sono conservate ben trentasette lettere inviate dal più giovane al più maturo poeta, con alcune liriche manoscritte. Egli continuò a collaborare all’«Albero» anche quando la ripresero, dal 1970 al 1985, Oreste Macrì e Donato Valli. Proprio nella miscellanea di studi dedicati a quest’ultimo, Serricchio pubblicò un articolo suComi, nel quale, fra l’altro metteva in rilievo la principale caratteristica della poesia comiana, vale a dire «l’ansia cosmica di elevazione e partecipazione alla vita dell’universo»[10].

Tutto questo sta a dimostrare quanto abbia contato sulla formazione di Serricchio la poesia di Comi. Non a caso, Giorgio Caproni, nella recensione a L’ora del tempo, faceva notare che i risultati ai quali egli approdava erano spesso «degni dell’aura di civiltà letteraria che intorno all’‘Albero’ spira»[11]. Ma non sono soltanto Comi e i cosiddetti ermetici meridionali a incidere sul ‘primo tempo’ del poeta pugliese. Anche alcuni maestri della lirica novecentesca, in particolare Ungaretti e Quasimodo, hanno una notevole influenza su di lui, come fa notare anche Ettore Catalano nella sua Prefazione a Tutte le poesie[12]. Quasi nessun peso avrà invece, come s’è detto, la poesia neorealista.

E vediamo allora più da vicino le caratteristiche della prima raccolta, Nubilo et sereno, del 1950. Il primo tema che ritroviamo è proprio il tema cosmico che caratterizza la poesia comiana, senza però le implicazioni di natura filosofica, e tanto meno esoterica, di quella. Anche qui, comunque, c’è il motivo della fusione, della partecipazione alla vita dell’universo che il poeta riprende anche dal grande esempio dell’Allegria ungarettiana. Come nella lirica I fiumi, in cui c’è il senso di una raggiunta «armonia» con la realtà («Il mio supplizio / è quando / non mi credo / in armonia»[13]), anche qui il dolore, la sofferenza sembra placarsi solo in questo «anelito, in questa «ansia» di fusione con l’universo. Si legga, ad esempio, la seconda strofa di Orione:

Sempre la stessa ti miro

ed ogni sera

ansiosa l’anima a te anela.

Sento nell’ora tua

esaurirsi il tempo

e il soffrire placarsi.

(94)

Oppure, ancora, l’ultima strofa di Immersa l’anima sento:

Lontananza,

più non tormenti le tue cose amiche.

In me tutto s’accoglie e immersa l‘anima

sento nell’universo che si svela.

(106)

Ma questo motivo è presente anche in Immortalità, dove il poeta immagina che la sua anima, una volta staccatasi dal corpo dopo la morte, vaghi liberamente nei cieli:

Nei tronchi nei rami nell’erba

nelle corolle accese all’amore

scorrerò germinale spirito

E nidificheranno in me gli uccelli,

saranno miei i canti

e i voli sparsi nel cielo.

Mi cullerà con dolcezza la nenia

d’una foglia che cade;

parlerò con l’acque

ai margini freschi dei rivi

e con la luce riflessa

sarò soffio profumo respiro.

Respiro di gemme nella notte,

un’ansia di stelle non più remote,

universale amore

e nel riposo dei cieli

naufragio lento di morte stagioni.

(111)

Un altro motivo presente già in questo primo libro è quello della natura, del paesaggio naturale, un paesaggio interiorizzato, un paesaggio-stato d’animo, che riflette cioè i sentimenti, i dubbi, le ansie del poeta. E qui si potrebbero portare tanti esempi, come Vespro di nebbia:

Non s’alzano al vento se non le foglie.

Nel paesaggio calato

come un’improvvisa maschera sul volto

la nebbia ha fatto scempio dei ricordi.

Laggiù vasta di gemiti

e abitata da un popolo di morti

si fa fredda la terra.

In mezzo alla tormenta

mi scaverò il sentiero

e ricomposta l’ansia alle tue prode

colmerò di pace il cuore.

(88)

Ma sono davvero numerosi gli esempi di questa visione interiorizzata del paesaggio, sia esso terrestre, marino o celeste, presenti nella raccolta.

Un altro tema, ancora, è quello degli affetti familiari, che lo accomuna agli ermetici meridionali. Infatti, nelle poesie di Quasimodo, Gatto e Sinisgalli compaiono spesso le figure dei genitori, che rimandano a una concezione arcaica, tradizionale, patriarcale della famiglia, tipica delle regioni del Sud. Si veda, ad esempio, Cara luminosa innocenza, dove nell’ultima strofa compare la figura della madre che col suo sorriso riusciva a dare gioia al figlio:

Cara luminosa innocenza,

il sorriso materno

rivestiva di gioia l’umili cose,

e al tuo sguardo soltanto

fiorivano i prati

e il cielo s’empiva d’uccelli.

(97)

O, ancora, Naufragio, dove dal «naufragio»dei ricordi riemergono frammenti che riportano alla memoria le figure di entrambi i genitori, alle prese con la loro umile attività quotidiana:

La notturna voce del carrettiere

che ferro portava al duro lavoro

di mio padre.

Negli orecchi mi ronza ancora

il rumore delle verghe battute

sul lastricato dell’officina.

Leggevo la giovinezza

negli occhi del fabbro e della madre

che m’acconciava il vestitino addosso.

Ora son umidi quegli occhi e grigie

le chiome che non conobbi mai.

(104)

Sempre nell’ambito degli affetti domestici rientra il tema della famiglia del poeta, con le figure della moglie e della prima figlia, tema che avrà maggiore sviluppo nella seconda raccolta.

Dal punto di vista formale, Serricchio dimostra una piena padronanza della tecnica poetica che si rifà al primo Ungaretti da cui riprende la frantumazione del verso. Questo, infatti, giunge a coincidere talvolta, proprio come nell’autore del Porto sepolto, con la singola parola per dare ad essa maggiore rilievo. Si veda, a mo’ d’esempio, la seguente strofa di Treno:

Un alito di luce

velata

il limite segna

dell’orizzonte confuso

(87),

dove si può notare il termine «velata» che resta isolato e staccato dal verso precedente e da quello successivo.

Ma Serricchio si rifà anche agli ermetici, dai quali riprende la vaghezza e l’indeterminatezza dell’espressione, raggiunta attraverso alcune caratteristiche tipiche del loro linguaggio. Frequente è, ad esempio, l’uso dell’analogia, del quale si danno alcuni esempi, tutti ripresi da Tavoliere (86): «lago increspato di luce», «l’ansia d’ignote foreste», «ossi dei tempi». Come pure il ricorso ai plurali indeterminati, che producono un effetto evocativo. Se ne veda un’intera serie compresa nei seguenti versi di Miraggio:

Passano figure snelle

morbide sete,

pupille fugaci.

Diafani veli

innanzi a paurosi misteri.

(83)

E, ancora, tipico del linguaggio ermetico è l’uso passe-partout (come lo definisce Mengaldo[14]) della preposizione a: «S’accendono insegne / lungo le strade / alla nuova giornata» (83), «e muore in un fievole bacio / alla riva sommersa nel sonno» (85), «nell’innocente infantile fiorire / di gemme a passi di bimbi» (86), «A pensiero nascosto socchiudi / la stanca pupilla.» (101), «Al tocco una corolla / si accese a rive lontane» (102), «In te, a solitudini di vette / inesplorate, salgo / con l’anima stanca.» (105).

In questi ultimi versi si noterà un richiamo alla celebre composizione Vento a Tindari, tratta dalla raccolta Acque e terre, di Quasimodo: «Salgo vertici aerei precipizi»[15]. Come pure quasi un calco ungarettiano è: «Fa dolce starti accanto» (96), che richiama il verso del frammento 17 di Giorno per giorno, compreso nella raccolta  Il dolore, «Fa dolce e forse qui vicino passi»[16].

Gli stessi motivi presenti in Nubilo et sereno si ritrovano nel secondo libro di versi, L’ora del tempo, apparso, come s’è detto presso le Edizioni dell’ «Albero» di Lucugnano nel 1956, nella collana «La misura del tempo». Anche qui, dunque, c’è questo rapporto profondo con la natura, della quale si cerca di ascoltare la voce, come nella poesia intitolata proprio La voce:

Ripiegarsi come vergine donna

in ginocchio

che ascolta nel silenzio

la voce lontana.

Sentire oltre lo scoglio

ove s’annida la notte

il caldo fluire dell’onda.

Vagano come suoni indistinti,

forme di cose remote,

nubi che vanno.

E l’anima è tesa a carpire

sul mare

un’esile nota.

(126)

C’è come un senso di stupore, di stupefatta meraviglia dinanzi allo spettacolo della natura rappresentato dalla nascita di un giorno nuovo (Altro giorno, 123) o di un’altra vita (La crisalide, 124). Così pure si ritrova il tema cosmico, che anzi qui si accentua a causa, come si è detto, del rapporto con Comi che nel frattempo si è intensificato. E a questo proposito si potrebbero citare Solarità (133) e Cavalluccio marino, dove la seconda strofa richiama da vicino certe immagini e termini ricorrenti nell’autore di Spirito d’armonia, come appunto «armonia» e «cristalli»:

Per te il sole, glauco nelle cavità marine,

si ricompone, appena emerso dall’acqua,

in armonia di lucidi cristalli

e un nuovo giorno innalza sul tuo regno

(163).

Ma in questa nuova raccolta si affaccia anche il tema del tempo, del «sentimento del tempo», per dirla con Ungaretti. D’altra parte, esso emerge fin dal titolo, L’ora del tempo, che riprende il verso dantesco «L’ora del tempo e la dolce stagione» (Inf., I, v. 43). «Tempo» diventa una delle parole-chiave del libro, insieme con «luce» e «ombra». C’è ora una costante riflessione sul tempo che a volte sembra quasi fermarsi negli spazi sterminati del paesaggio garganico, come in Colline:

Ariose creature della mente

assetata di quiete, docili allo sguardo

come i mantelli di candide pecore

che stanno alla fonte, visioni

profonde di spazi che non hanno più tempo.

Il tempo è solo quell’alberello

erto laggiù, sul limite, e così breve

che questo accanto è immensamente grande.

(125)

Altre volte il poeta, attraverso l’uso di alcune immagini analogiche, dà l’idea che il tempo arrivi a materializzarsi, a concretizzarsi. Si vedano i seguenti versi della lirica Nell’aria ali di perla:

Età immemorabile è scesa,

ferma come l’estate che affila

qui i raggi taglienti

a scalfire, sotto le scaglie

di sale, gli strati del tempo[17];

(134);

o  questi, di Memoria di voci:

Nello stillare dell’acqua dal sasso

vidi corrosa la pietra del tempo

e accordai a quel ritmo;

(128)

o ancora i seguenti della poesia Il cigno:

Solo Colui che ha l’occhio per scrutare

le tenebre, ove sopra dimora di cieli

vanno stupori di stelle, e dai recessi

del tempo ode continua l’eco del dramma

che si perpetua in grido,

solo Colui si chinerà senz’odio sopra noi

e l’anime ignude vestirà d’amore.

(138)

In I brividi del vento, il tempo diventa ancora «questo freddo andare / di forze invisibili che piega alle radici / i rami e prima che l’estate / compia il suo giro, strappa / incrudelito anche le foglie» (157). Poi c’è un tempo-non tempo, il tempo di una dimensione «altra», ultraterrena, come nella terza strofa di Non dirmi che nessuno:

Non sei più tu del tempo che ci avvolge,

verso altre stagioni ti volgi

lieve percorrendo con candida veste

la riva di un fiume che non ha foce.

(129)

Infine, in questa seconda raccolta di versi c’è il motivo degli affetti familiari, lo «spazio domestico», per usare un’espressione di Oreste Macrì, che assume sempre più rilievo. D’altra parte, in questi anni nascono anche i tre figli di Serricchio: Angela, Vanna e Michele. A ciascuno di esse sono dedicate alcune poesie, come altre composizioni sono ispirate dalla moglie Delia. E tra le tante che si potrebbero citare, vorrei segnalare Le due vestine al sole, in cui spicca la capacità analogica del poeta:

Le due vestine stese al sole ad asciugare

son vele che vanno verso il mare

l’una rosa, l’altra fiordarancio

lievi le vedo navigare.

L’acqua è chiara come il sonno

nei lettini, quando il peso del meriggio

spiana l’onde e il canto di cicale

si fa roco tra gli ulivi.

Nella giovane luce, tra i lampi

d’abbaglianti distese di cieli

fuori del mondo vanno

verso curve d’allegri mattini.

A tutti serba un’isola quel mare

che innalzi all’improvviso

la scogliera e un po’ di verde

sulla collina ariosa.

(154)

Questo tema ricompare nella terza raccoltina di Serricchio, I fiori sono pietre, del 1957, che comprende solo cinque composizioni dedicate ai genitori scomparsi nelle quali a prevalere è un tono elegiaco, come nella lirica seconda in cui rievoca la figura del padre ormai «fuori del tempo»:

Il tuo scarno pallore, la mano

che tenta di dare voce ancora

alle labbra spente, lo sguardo

profondo che s’apre lontano,

fuori del tempo ti fanno, Padre

oltre il nostro silenzioso dolore.

L’orlo del sole sulle chiare colline

si dissolve, fioco come il tuo peso

di fanciullo che torna, dopo incolmabili

anni, all’abbraccio paterno.

Così ti vedo varcare la soglia

per empire il tuo cuore di muschio

e, come l’autunno, nell’aria

scolorire il tuo passo ingiallito. (170)

Anche in questa plaquette si nota un richiamo ungarettiano, come nei seguenti versi: «Sto come un bagaglio in attesa / deposto in un angolo e dimenticato»(173), che riprendono questi, famosi, della lirica Natale, tratta dall’Allegria: «Lasciatemi così / come una / cosa / posata / in un / angolo / e dimenticata»[18], a dimostrazione dell’influenza avuta sul primo Serricchio da Ungaretti.

[In “è la parola che conta…” Cristianziano Serricchio poeta, narratore, drammaturgo. Atti del Convegno (Manfredonia, 10 novembre 2017), a cura di Ettore Catalano, Foggia. Sentieri Meridiani Edizioni, 2019; poi in A. L. Giannone, Scritture meridiane. Letteratura in Puglia nel Novecento e oltre, Lecce, Edizioni Grifo, 2020]


[1] Foggia, Società Dauna di Cultura, 1950.

[2] Lucugnano, Edizioni dell’«Albero», 1956.

[3] Foggia, Editrice Leone, 1957.

[4] Su questi poeti ci sia permesso di rinviare a A.L. Giannone, La linea meridionale nella poesia italiana del Novecento, in Lingua e letteratura del Sud nell’Italia del Novecento. Atti del Convegno internazionale (Università diGöterborg. 13-15 settembre 2011), a cura di Ulla Åkerström, Roma, Aracne, 2013, pp. 15-33.

[5] In «L’Albero», 13-16, gennaio-dicembre 1952, pp. 138-139.

[6] In «L’Albero», 30-33, gennaio1957-giugno 1958, pp. 108-110.

[7] Ivi, p. 104.

[8] Padova, Rebellato, 1961.

[9] In «La Fiera letteraria», 6 maggio 1956.

[10] C. Serricchio, La poesia religiosa di Girolamo Comi, in In un concerto di voci amiche. Studi di letteratura italiana dell’Otto e Novecento in onore di Donato Valli, primo tomo, a cura di M. Cantelmo e A.L. Giannone,  Galatina, Congedo, 2008, p. 411.

[11] In «La Fiera letteraria», 23 marzo 1958.

[12] E. Catalano, Prefazione a C. Serricchio, Tutte le poesie, a cura di M. Vigilante, Foggia, Sentieri Meridiani Edizioni, 2015, 2 voll., p. 19. Da quest’opera sono tratte le nostre citazioni delle poesie di Serricchio. Inseriamo tra parentesi il numero di pagina.  

[13] G. Ungaretti, Vita d’un uomo. Tutte le poesie, a cura e con un saggio introduttivo di C. Ossola, Milano, Mondadori, 2009, p. 82.

[14] Cfr. P.V. Mengaldo, Il linguaggio della poesia ermetica, in Id., La tradizione del Novecento (Terza serie), Torino, Einaudi, 1991, pp. 131-157.

[15] S. Quasimodo, Poesie e discorsi sulla poesia, a cura e con introduzione di G. Finzi e una Prefazione di C. Bo, Milano, Mondadori, 1996, p. 10.

[16] G. Ungaretti, Vita d’un uomo. Tutte le poesie, cit., p. 248.

[17] Nostri i corsivi.

[18] G. Ungaretti, Vita d’un uomo. Tutte le poesie, cit., p. 100.

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