Gobetti e dintorni 3. Una postilla di Piero Gobetti alla concezione crociana della storia

La seconda generazione del metodo storico, invece, ha avuto soltanto eruditi che si sono soltanto distinti per un accademismo vuoto e pettegolo e per il dilettantismo delle date e  del fatterello, e tra loro merita una citazione particolare Vittorio Cian. Essi hanno attinto fino al 1915 alla filologia e alla pedanteria germanica, ma dopo l’inizio della guerra hanno sollevato, in nome di un patriottismo filisteo, una gazzarra contro Benedetto Croce, accusandolo di essere un tedesco e un traditore, perché, mentre egli sostiene che la Germania grande  e geniale del pensiero e dell’arte è finita con Hegel e con Nietzsche, addita agli Italiani la necessità di far tesoro di quel pensiero. Vittorio Cian addirittura chiama con impudenza il Croce von Kreuz. E’ in quest’occasione Gobetti prende la difesa del filosofo: “(…) Finché dura la gazzarra anticrociana, finché la lotta  è tra la menzogna e l’onestà, tra la mentalità massonica, e riformistica, finché combattere Croce vuol dire combattere la serietà degli studi e l’educazione nazionale, non può essere dubbio il contegno della gente onesta.

Stare con Croce vuol dire combattere le porcherie torbide di quegli Italiani che disonorano l’Italia (…)”[6].

Gobetti legge Teoria e storia della storiografia nel settembre del 1919. Il volume appare fittissimo di sottolineature e qua e là qualche nota riassume il contenuto di intere pagine[7].

Al termine del capitolo I, dal titolo Storia e cronaca, a p. 17, troviamo questo commento:

Mi pare che in forma non troppo limpida sia affermato il concetto di spirito come formazione storica che ha in sé il suo principio, e come contenuto tutto il passato. Ora il passato è stato tutto STORIA (cioè spirito, vita, pensiero) e può diventare STORIA, concretamente ri/pensato. E’ CRONACA se è passato e non è pensato e studiato attualmente.

In realtà se potesse in un momento non essere pensato non sarebbe neanche  CRONACA perché NON ESISTEREBBE. Anche chi non sente la Divina Commedia come realtà spirituale concreta in Dante, non vedrà tuttavia questo libro (DOCUMENTO) come CRONACA bensì come la REALTA’ sua, per es. di salumaio se il libro gli interessa in quanto è CARTA. E questa storia sarà più umile, e più volgare, ma è pur ATTUALITA’ DI PENSIERO, che desta un INTERESSE, la sola attività di pensiero di un salumaio e però è storia anch’essa, non cronaca. Egli non vede neanche la possibilità che quel libro possa essere DOCUMENTO per altra visione.

Solo astrattamente, quindi, in una visione retrospettiva, il Croce può distinguere CRONACA da STORIA; cronaca non in sé, ma un punto di vista e di giudizio più o meno elevato.

Per escludere la filologia e la cronaca dalla storia, Croce deve avere già un determinato concetto della STORIA da cui la filologia va ESCLUSA come storia“.

Gobetti ammette con Croce che il presente è al tempo stesso la ricapitolazione del passato e porta con sé il passato in tutto ciò che davvero interessa conoscere, sicché la storia ci mostra che ciascuno di noi trascorre di problema in problema filosofico dietro lo stimolo della nostra vita.

E tuttavia l’annotazione gobettiana, laddove ricorre all’esempio dell’interesse del salumaio del libro in quanto carta, ci sembra che sveli, rispetto a Croce,  la presenza nel concetto di cronaca di un elemento dinamico non diciamo come valore, ma come perenne approssimazione al valore destinato a condizionare l’opera pratica, da cui, a sua volta, viene condizionato il pensiero.

In altri termini, vanificare la cronaca significa per Gobetti considerare un sapere che non può creare fini ideali, mentre a determinare la volontà di compiere una certa azione è necessario credere che i fini desiderati siano perseguibili. L’efficacia dell’azione nel causare gli effetti voluti dipende dalla conoscenza precisa della situazione, cioè è necessario che razionalità e volontà, sapere e agire siano connessi. Ecco perché Gobetti sin dal 1919 medita sulla necessità di liberare la nostra storia unitaria dal mito delle leggende ufficiali e dei fasti trionfalistici mediante la distruzione di una lunga cronaca celebrativa. Alludiamo al canone storico della diseroicizzazione del nostro Risorgimento. Per farlo è necessario alleggerire il peso dell’idealismo, anche se questo comporta un allontanamento da Croce, del quale Gobetti ristabilirà valore e convinzioni nel 1925, quando il filosofo, dopo il delitto Matteotti, passa all’antifascismo europeo.

Nel 1919 la cronaca per Gobetti non può essere più, a modo del Croce, giudicata nel senso estrinseco degli empirici, ma per il clima particolare in cui essa si svolge ha diritto ad entrare nella storia. In quell’anno difatti aumenta di giorno in giorno la schiera di coloro che preparano in Italia la dittatura fascista e Gobetti è indotto a cercare il modo, il fine e il valore della cronaca e a controllarne l’evoluzione.

Si avvede così che la cronaca di quei giorno contiene l’energica negazione della storia e perciò batte coraggiosamente sulla necessità d’una presa di coscienza,  d’un concreto impegno morale di libertà che è il principio esplicativo dell’intera storia e l’esigenza insopprimibile dalla quale è animata la vita storica dell’umanità intera. E tutto ciò contro chi tende a divinizzare lo Stato come supremo valore etico, in presenza della pratica liberticida che prepara lo Stato fascista. Così Gobetti riprende il senso nuovo del rapporto tra politica e morale che esplica una nuova considerazione della responsabilità individuale. E l’uomo ritrova in se stesso, nel suo mondo, che è quello della sua storia, tutto il bene cui egli aspira.

Note

Cfr. P. Gobetti, B. Croce, e i pagliacci della cultura, in “Energie Nove”, serie I, n. 2, 15-30 novembre 1918, p. 27, ora in P. Gobetti, Scritti politici, Einaudi, Torino 1960, p. 20.

[Una postilla di Piero Gobetti alla concezione crociana della storia, in “Il Corriere nuovo”, Anno IV n. 1, Galatina, 30 gennaio 1983, pp. 3 e 4]

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