In effetti, Scotellaro era uno dei nomi su cui Bodini puntava maggiormente per la sua rivista la quale, come scrisse egli stesso nell’editoriale del secondo numero, si riprometteva di “documentare” quella “tendenza di rinnovamento”[6], che era dato di vedere nella poesia italiana di quegli anni. In particolare, “L’esperienza poetica” voleva mostrare lo “sforzo transitivo della poesia sugli oggetti e passioni del mondo, ma a patto che gli uni e gli altri si accendano di una significazione fantastica, e che il linguaggio non perda di quella comprensione e densità che sono un innegabile debito verso i poeti maggiori delle generazioni precedenti”[7]. Il che voleva dire, per Bodini, che i poeti dovevano uscir fuori dalla “prigione di parole”[8], in cui si erano rinchiusi gli ermetici, e confrontarsi invece col reale, con la società, con il tempo, senza peraltro rinunciare allo scatto inventivo, alla fantasia, all’immaginazione. Non a caso, le polemiche principali della rivista furono condotte, da un lato, nei confronti del post-ermetismo e, dall’altro, del neorealismo marxista, del quale si rifiutava il grezzo contenutismo e l’esplicita compromissione con la politica. A questa “falsa alternativa”[9] che presentava l’Italia “ufficiale”, Bodini dichiarò più volte di essere “indifferente”.
Questa era la strada che, a modo suo, aveva percorso anche Scotellaro. Pur essendosi formato sui testi dei maggiori lirici novecenteschi, non esclusi gli ermetici, egli aveva saputo ampliare temi e modi della sua poesia con notevole apertura di linguaggio, fino a prestare una particolare attenzione alla realtà umana e sociale della Lucania, con un senso di totale partecipazione. Ciò aveva provocato inevitabilmente squilibri e contraddizioni nella sua poesia, come faceva rilevare Luciano De Rosa in un saggio pubblicato sul numero 3-4 dell’ “Esperienza poetica”, che costituisce un altro segno dell’interesse dimostrato dalla rivista leccese verso il poeta lucano:
Per cantare la pena dei contadini Scotellaro non ha altro linguaggio se non quello che gli offre la più evoluta poesia contemporanea, cresciuta nelle silenziose serre del neosimbolismo ermetico e della più rarefatta tradizione leopardiana.[10]
Dal canto suo, anche Scotellaro aveva dimostrato di conoscere e apprezzare Bodini. In un’acuta recensione della sua prima raccolta di versi, La luna dei Borboni, pubblicata nel 1952, ne aveva sostenuto l’assoluta novità nel panorama letterario di quegli anni, sferrando altresì un duro attacco alla critica, incapace per pigrizia di distinguere e mettere ordine nella produzione poetica del dopoguerra al di là di certi schemi prestabiliti, come la semplicistica opposizione tra ermetismo e neorealismo, rifiutata, come s’è detto, anche dallo scrittore leccese. Poi aveva cercato di chiarire la caratteristica principale della poesia bodiniana, la quale, a suo giudizio, era in grado di indicare una terza via tra quelle due correnti e di tracciare “una linea di soluzione alla poesia delle grandi chiocciole”, cioè dei nostri maggiori poeti, pur non essendo pervenuta “ai pericolosi scogli del così detto populismo”[11]. Alla fine aveva invitato i critici a tener conto di tutto questo:
Ci sembra ancora – ed è il fatto più interessante – che Bodini abbia scritto tenendo in mano una penna e un rasoio per compiere, egli, un lavoro critico di sé e della poesia italiana. E’ possibile che nessuno se ne accorga?[12]
In effetti, Bodini e Scotellaro, pur con le ovvie differenze di poetica e di stile, erano accomunati dal tentativo di cercare nuove strade per la poesia italiana, più adeguate ai tempi ormai profondamente mutati. Né poteva dividerli lo scarto anagrafico (il poeta leccese era nato nel 1914, quello lucano nel 1923), come pretendeva Oreste Macrì con la sua “teoria delle generazioni”, in quanto, secondo Bodini, non vi erano “che due generazioni, o al di qua o al di là”[13] dei tragici anni della guerra.
Inoltre entrambi avevano posto al centro della loro opera il Sud, la realtà meridionale, indagata nei suoi vari aspetti con intima adesione. Non a caso, La luna dei Borboni di Bodini si apre con i seguenti versi, quasi a mo’ di presentazione: “Tu non conosci il Sud, le case di calce / da cui uscivamo al sole come numeri / dalla faccia d’un dado”[14]. Mentre Scotellaro, in Appunti per una litania, giungerà alla completa identificazione con il Sud: “E sud è mio nonno / mio padre e mia madre / e sud è il soldato di New York / […] / e sud sono anch’io che canto la litania…”[15]. D’altra parte, come è stato già dimostrato[16], esistono numerose analogie tematiche tra i due, che li ricollegano chiaramente al filone dei poeti meridionali del Novecento, da Quasimodo a Gatto, da Sinisgalli a De Libero.
Bodini conosceva da tempo le poesie di Scotellaro, che, oltre che su giornali e riviste nazionali, aveva potuto leggere anche su periodici salentini. Nell’aprile del 1950 cinque di esse (Il cielo a bocca aperta, Suonano mattutino, Tu non ci fai dormire cuculo disperato, E’ calda così la malva, Sempre nuova è l’alba) erano state pubblicate sul quarto numero del periodico leccese “Artigianato salentino”, sul quale l’autore della Luna, proprio nel fascicolo successivo, pubblicherà un racconto, La morte fatta in casa [17]. Le cinque poesie erano presentate da un breve corsivo di Leonardo Sacco, il quale scriveva, fra l’altro, che “Rocco Scotellaro è il primo giovane poeta meridionale che sappia sentire il dramma del Sud nei suoi termini esatti e questo dramma presentarlo con voce che nulla rifiuta alle più moderne esperienze”[18].
Più recente era invece la conoscenza personale del sindaco-poeta di Tricarico da parte del poeta leccese. L’incontro tra i due avvenne molto probabilmente, in occasione di un’importante mostra, “L’arte nella vita del Mezzogiorno d’Italia”, svoltasi a Roma da marzo a maggio del 1953. Una foto, di notevole interesse storico-documentario, da noi pubblicata[19], li ritrae insieme a Carlo Levi, Vittore Fiore e ad altri rappresentanti della cultura artistica e letteraria meridionale riunitisi a festeggiare l’inaugurazione della rassegna in una trattoria romana, “Il re degli amici”. Tra Bodini e Scotellaro nacque subito un’intensa amicizia che non ebbe modo di svilupparsi ulteriormente proprio a causa della prematura e improvvisa scomparsa del poeta lucano.
Un’ulteriore conferma dell’importanza di questo sodalizio per Bodini ci viene ora dalle sue lettere nelle quali non pochi sono gli accenni a Scotellaro[20]. In una lettera a Luciano Erba del 30 maggio 1954, ad esempio, riferendosi polemicamente a Vittore Fiore e alla sua raccolta poetica, Ero nato sui mari del tonno, dopo averlo accusato di aver saccheggiato un po’ tutti, Scotellaro, De Rosa, Stolfi, Carrieri, Quasimodo, lo stesso padre, Tommaso, lo scrittore leccese associava significativamente il poeta lucano a se stesso come principali modelli per Fiore:
E non ha voce propria; quando non rifà il verso a me o a Scotellaro, stende i miei campi di tabacco, le mie case di calce, o i contadini del povero Rocco nel lagno profetico dei giovani di “Momenti”[21].
Assai interessante è anche il riferimento contenuto in una lettera a Enrico Falqui del 12 febbraio 1955. Questi, il 2 di quel mese, gli aveva scritto manifestando una certa perplessità sul “caso” Scotellaro: “Ma col povero Scotellaro non stanno maledettamente esagerando? Non vorranno mica farne un Berchet?”. E Bodini, dopo averlo informato che sul secondo numero dell’ “Esperienza poetica” vi era un “acuto scritto” di Luciano De Rosa su di lui, così continuava, quasi confessandosi:
Per me Scotellaro è un fatto sentimentale, perché diventammo rapidamente amici, perché in lui c’era molto di buono e del nuovo, come posizione di partenza, più di tutti quanti. Ma De Rosa lo ha esaminato con molta obiettività, senza farsi minimamente influenzare dal mio affetto, e penso che il suo articolo ti piacerà.
E qui, oltre ad essere ampiamente confermata la vicinanza di Bodini a Scotellaro sia sotto l’aspetto umano che sotto quello letterario, emerge anche l’elemento della “novità”, da lui intravisto nella poesia dell’amico.
Ancora un altro accenno a Scotellaro si trova in una lettera di Bodini a Lamberto Pignotti, risalente al 28 gennaio 1957. Quest’ultimo stava preparando un numero speciale della rivista “Stagione” dedicato al poeta leccese, al quale aveva chiesto un po’ di materiale da inserire nel fascicolo. Tra l’altro, Bodini gli volle mandare la recensione di Scotellaro alla Luna, confermando ancora una volta, con le sue parole, lo stretto rapporto di amicizia che lo aveva legato a lui:
Le mando una mia poesia inedita e la bibliografia. Fra queste ho scelto, per un’eventuale utilizzazione, un pezzo che mi è molto caro perché di Rocco Scotellaro, poeta con cui ebbi un’amicizia a colpo, e purtroppo così fulminea, brevissima. E osservi che la noterella era anteriore all’uscita dell’ “Esperienza”.
Degna di rilievo, infine, è anche la risposta di Pignotti che inserì il pezzo di Scotellaro in “Stagione”, ritenendolo ancora “palpitante”, perché, scriveva, “la situazione letteraria non ha subito cambiamenti e un tale affondo tocca sempre la solita critica” (lettera del 2 febbraio 1957). E questo, in fondo, era il riconoscimento, da parte di un poeta più giovane, dell’esattezza delle osservazioni di Scotellaro.
[In «Oggi e
domani», a. XXXII, n. 7-8, luglio-agosto 2004; poi in A.L. Giannone, Tra Sud ed Europa. Studi sul Novecento
letterario italiano, Lecce, Milella, 2013]
[1] In “L’esperienza poetica”, n. 1, gennaio-marzo 1954, pp. 11-13.
[2] La lettera di A. Gatto figura nell’ Appendice del vol. di R. AYMONE, Vittorio Bodini. Poesia e poetica del Sud, Salerno, Edisud, 1980, p. 123.
[3] Alla fine Bodini riuscì ad ottenere le poesie da Carlo Levi, come risulta da un breve scambio epistolare tra i due, risalente ai mesi di gennaio-aprile 1954. Levi, com’è noto, stava preparando l’edizione di È fatto giorno e si stava procurando gli inediti di Scotellaro.
[4] La nota, non firmata, ma attribuibile a V. Bodini, apparve in “L’esperienza poetica”, cit., p. 13.
[5] Ibid.
[6] V. BODINI, Non è una poesia da serra, in “L’esperienza poetica”, n. 2, aprile-giugno 1954, p. 1.
[7] Ibid.
[8] V. BODINI, L’esperienza poetica, in “L’esperienza poetica”, n. 1, gennaio-marzo 1954, p. 2.
[9] Ivi, p. 3.
[10] L. DE ROSA, Civiltà e linguaggio di Scotellaro, in “L’esperienza poetica”, n. 3-4, luglio-dicembre 1954, p. 28.
[11] R. SCOTELLARO, rec. a La luna dei Borboni, in “Nuova Repubblica”, 5 maggio 1953, poi in AA. VV., Omaggio a Bodini, a cura di L. Mancino, Manduria, Lacaita, 1972, p. 278.
[12] Ibid.
[13] V. BODINI, L’esperienza poetica, cit. ,p. 3.
[14] V. BODINI, Foglie di tabacco 1945-1947, 1, in Tutte le poesie (1932-1970), a cura di O. Macrì, Milano, Mondadori, 1983, p. 91.
[15] In R. SCOTELLARO, Tutte le poesie. 1940-1953, a cura di F. Vitelli, Milano, Mondadori, 2004, p. 242.
[16] A questo proposito, ci sia consentito di rinviare a A.L. GIANNONE, Scotellaro e gli ermetici meridionali, in “Otto/Novecento”, a. IX, n. 2, marzo-aprile 1987, pp. 25-46; poi nel vol. dello stesso, La “permanenza” della poesia. Studi di letteratura meridionale tra Otto e Novecento, Cavallino di Lecce, Capone, 1989, pp. 35-63 e in AA.VV., Scotellaro trent’anni dopo. Atti del Convegno di studio (Tricarico-Matera, 27-29 maggio 1984), Matera, Basilicata Editrice, 1991, pp. 345-366.
[17] In “Cronache salentine”, numero speciale di “Artigianato salentino”, a. II, n. 5, maggio 1950; ora in V. BODINI, Barocco del Sud. Racconti e prose, a cura di A. L. Giannone, Nardò, Besa, 2003, pp. 39-43.
[18] In “Artigianato salentino”, a. II, n. 4, aprile 1950.
[19] Cfr. A.L. GIANNONE, L’itinerario pittorico di Cosimo Sponziello. La strada del timo e del pettirosso, in “Sudpuglia”, Rassegna trimestrale della Banca Popolare Sud Puglia, n. 3, settembre 1992, p. 133.
[20] Le lettere di Bodini, da noi citate, sono conservate in fotocopia presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università del Salento (cattedra di Letteratura italiana contemporanea). Le lettere dei suoi corrispondenti figurano, invece, nell’Archivio Bodini custodito presso la Biblioteca Interfacoltà della stessa Università .
[21] La lettera figura ora in V. Bodini-L. Erba, Carteggio (1953-1970), a cura di M.G. Barone, Nardò, Besa, 2007, p. 43.