Luigi Ghirri e il sonno del viaggiatore

di Antonio Devicienti

C’è questo autoritratto di Luigi Ghirri, c’è questa sala d’aspetto di una stazione di provincia, c’è questo abbandono pensoso del fotografo, questa sosta pronta a farsi di nuovo viaggio, c’è questa panca di legno e il tavolo esso pure di legno, questa stufa (o forse c’era una stufa, sostituita dal calorifero: è rimasto il tubo traverso cui passava il fumo della combustione – ma no, è ancora una stufa), ci sono i due prospetti orari (Arrivi e Partenze), c’è questa porta aperta sull’esterno, c’è il pavimento a geometrie nere e bianche, ci sono le piante in vaso accanto alla panca e dietro la porta a vetri.

La grandissima arte di Luigi Ghirri è arte dell’andare (preferibilmente a piedi, ma anche in automobile e in treno), è l’arte di raggiungere i luoghi. Nella fotografia di Luigi Ghirri i luoghi aspettano e nei luoghi aspettano le cose (talvolta anche bambini o persone) e con le cose, in quei luoghi, aspetta il silenzio.
Ghirri fotografa il silenzio, i luoghi aspettanti, le cose che, vien fatto di pensare, seguendo il dettato morandiano s’accampano significanti e luminose nei luoghi.

È una giostra di ferro immobile e solitaria in mezzo alla spiaggia, è una passerella di legno che attraversa un’altra spiaggia (e non c’è nessuno, non c’è nient’altro), è una doppia fila di ombrelloni chiusi e di cabine di legno azzurro anch’esse chiuse, oppure sono due termini di mattoni rossi con due pigne di pietra al vertice che segnano l’accesso a campi non recintati (ed è, piuttosto, l’accesso in un universo immerso nella nebbia, debole indicazione di un percorso il viale sterrato), è una casina completamente circondata dall’acqua a Comacchio, le barche dei pescatori tirate in secca nella cala di Polignano a Mare…

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1 risposta a Luigi Ghirri e il sonno del viaggiatore

  1. Torno a ringraziare Iuncturae e Gianluca Virgilio per la generosa ospitalità.

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