La Iugoslavia nasce in seguito alla crisi interna e quindi al declino dell’impero ottomano che, raggiunto il suo apogèo al tempo della lotta tra Carlo V e Francesco I nel secolo sedicesimo, si dissolve dopo la pace di Carlowitz del 1699, dando origine alle province illiriche della Bosnia-Erzegovina, della Dalmazia, della Croazia e della Slovenia. Dopo che si estingue il pericolo turco, mettendo in crisi la la missione storica austriaca, si forma nell’Austria del sud un’unità destinata ad allargarsi alla Serbia ed al Montenegro. Nasce così la Iugoslavia che già ha formato uno stato indipendente nei secoli X, XI e XIV. Ciò è accaduto perché si è ridestata la tradizione slava che gli Asburgo non sono mai riusciti a soffocare. Questo risveglio si è avuto in Iugoslavia all’epoca di Napoleone Bonaparte, grande suscitatore di energie e di tradizioni nazionali e popolari, mediante il movimento letterario e politico dell’Illirismo. Esso ha riconfermato, attraverso i canti, le credenze ed il linguaggio, il mito del popolo-poeta, di fronte all’altra tesi dell’inventio come creazione personale. I canti illirici popolari, unitamente a quelli toscani, corsi e greci, tradotti e pubblicati dal Tommaseo, sono “(…) gli inni religiosi, il canto delle grandi virtù de’ passati, de’ presenti, gli inni morali da cantarsi nei vari momenti gravi e più belli della privata e della pubblica vita (…)”[3].
Un analogo fenomeno culturale si svolge in Italia nei primi decenni dell’Ottocento. Esso va sotto il nome di filosofia dell’italianismo e, paradossalmente, è una forma di reazione e di resistenza al cosmopolitismo francesizzante, pur nascendo dalla ventata d’aria nuova prodotta da Napoleone. Si pensi ai duecentocinquanta volumi della Biblioteca di classici italiani, alla collezione di Scrittori classici italiani di economia politica ed alla edizione foscoliana della Opere di Raimondo Montecuccoli. Cultura di opposizione, ma anche, ed è quel che più conta, rivalutazione delle nostre tradizioni.
Gobetti svincola l’unità etnica del popolo slavo dalla geografia che è un fatto empirico. L’unità difatti nasce soltanto dalla volontà e dalla potenza spirituale dei popoli. Gobetti dimostra di essere così coerente con l’idealismo crociano su cui si sviluppa la prima fase del suo pensiero (non si dimentichi che nel 1918 Gobetti ha appena 17 anni). Secondo il fulcro della sua dottrina, le nazioni e gli Stati nazionali nella storia d’Europa e del mondo si formano come elemento di progresso legato allo sviluppo ed all’affermazione della cultura e della borghesia come classe dirigente. Tuttavia lo storicismo di Gobetti sin dal 1918 si arricchisce, rigenerandosi, di nuovi succhi e di contenuti nuovi, oltre che dell’uso contraddittorio dei princìpi storici. Prende corpo così una prima fase di distacco e distinzione da Croce che via via si accentuerà in seguito. Eccone qualche esempio.
Uomini come Paul Marie-Bolo e F. Cavallini, avventurieri che al servizio del chedivé d’Egitto sin dal 1914 esercitano lo spionaggio a favore della Germania, sostengono che tra i popoli della Iugoslavia vi sono troppe differenze sociali, etniche e di cultura per farne un’unità. Gobetti replica a queste argomentazioni che sessant’anni prima Proudhon ed i nazionalisti francesi hanno preso analoga posizione contro l’unità italiana. Aggiunge inoltre che tra un Croato ed un Serbo le differenze sono minori che tra un Romano e un Lombardo, tra un Provenzale ed un Parigino.
Bisogna ammettere che ci sono anche differenze religiose. Ma anche in Germania vi è la Baviera cattolica e la Prussia protestante: in Italia, d’altra parte, il cattolicismo, la massoneria ed il socialismo sono forme diverse di religione. E’ chiaro, così, che dall’uso contraddittorio della storia viene inglobata nella lotta l’esaltazione del momento etico-politico. Rispetto al Croce, per il quale vale il momento puro della religione della libertà, rispetto a Gramsci per il quale liberale è soltanto il momento della lotta, cioè quello economico, Gobetti teorizza anche la dottrina delle minoranze come impulso allo sviluppo civile.
Possiamo a questo punto centralizzare la posizione gobettiana sul problema particolare della Dalmazia nel 1918. Si tratta di una regione geografica abitata allora da quarantamila Italiani e da parecchie centinaia di migliaia di Slavi. I nazionalisti naturalmente hanno rivendicato la Dalmazia all’Italia (si pensi per tutti all’avventura di D’Annunzio). Sin dal primo momento a costoro Gobetti obietta che le loro rivendicazioni aiutano indirettamente l’Austria in quanto ostacolano il sorgere della Iugoslavia e preparano gravissimi danni all’amministrazione interna di un popolo diverso dal nostro. Rinveniamo nel pensiero gobettiano la linea ideale di Gaetano Salvemini, suo maestro, che nell'”Unità”, n. 36, 1918 ha scritto: “Pretendere tutta o quasi tutta la Dalmazia è rendere impossibile il compromesso, è spingere tutti gli slavi del Sud a fare massa con l’Austria-Ungheria contro l’Italia”. E da Salvemini possiamo risalire a Mazzini che ha postulato sin dal 1858 in “Tredici o quattordici nuclei” il riordinamento europeo nel quale deve realizzarsi, attraverso le rivoluzioni nazionali e democratiche , il concetto di “Umanità”. Secondo Mazzini il decimo nucleo dovrebbe comprendere “(…) Slavonia del sud che abbraccerà in confederazione Carinzia , Croazia, Dalmazia, Bosnia, Montenegro, Serbia, Bulgaria (…)”[4]. Ma questo pensiero è rielaborato in una importante precisazione, secondo cui nel riordinamento auspicato non c’è più posto né per l’impero austriaco né per la Turchia: “(…) l’Impero turco, come quello d’Austria, è condannato a perire rapidamente; come il papato cattolico, il papato maomettano sparirà prima che il secolo spiri (…)”[5].
Proprio collegandosi a queste indicazioni, la dottrina di Gobetti sulle minoranze è tutta traversata dal valore della libertà come irreversibile dialettica della storia, libertà fatta di cose concrete, di stampa, di parola, di associazione, di riunione, come valori che esulano dalla letteratura e dagli intrighi politici, e s’innalzano al principio della giustizia e della redenzione sociale, ed investono direttamente il popolo. In altre parole, si tratta si tratta di valori che impongono il rispetto per le minoranze e condannano ogni tentativo di minacciare la libertà e l’indipendenza di altri popoli.
Si pensi agli eventi dell’anno 1942. La Iugoslavia è tagliata a pezzi da Mussolini, la Slovenia è occupata, a Zagabria da un anno è re di Croazia, col nome di Timoslao II, il duca Aimone di Spoleto, investito della sovranità sui Croati dal re d’Italia Vittorio Emanuele III e da Mussolini. Il duca è però soltanto re di nome e non di fatto, e per di più di uno Stato fantoccio. E’ rimasto sempre in villa a Napoli, senza mai raggiungere il regno. Il governo reale della Croazia è detenuto, per conto dei tedeschi, da Ante Palevic, capo degli ustascia fascisti. Mussolini scandisce la storia a ritroso. Anche col suo appoggio, difatti, le zone danubiane e balcaniche che nel 1918 sono state liberate dalla oppressione tedesca come spinta alla lotta contro l’imperialismo pangermanico, sono diventate possesso diretto e colonie della Germania.
Leggiamo quanto Gobetti ha scritto nel citato articolo La questione iugoslava: “(…) Smembrando l’Austria (che è fatto oltre che di necessità politica, di necessità morale) noi veniamo a creare uno Stato di Tedeschi e di Magiari di oltre venti milioni, separato dal mare e costretto inevitabilmente a gravitare (se non a perdere) intorno alla Gerrmania. Ed offriamo la possibilità di formazione di uno Stato enorme di quasi ottanta milioni di abitanti, il più forte d’Europa, che all’equilibrio ed alla pace costituirebbe una tremenda minaccia (…)”.
A Gobetti non è sfuggito che nella battaglia di Vittorio Veneto, con la quale si chiude la prima guerra mondiale, l’Italia è riuscita a distruggere l’esercito austriaco anche perché ha avuto come alleate le nazioni slave dell’Impero di Francesco Giuseppe, insorte contro il tirannico governo di Vienna e la Germania imperialista. Tutto questo, invece, il governo fascista ha dimenticato, avallando l’iniziativa dei Tedeschi di sopprimere un’altra volta la libertà di quelle minoranze slave. Nella dottrina gobettiana è presente tutta la tradizione italiana che proclama la necessità di collaborare con le nazionalità slave, al fine di fronteggiare le brame espansionistiche e di conquista dell’imperialismo tedesco.
Il realismo e il senso di responsabilità democratici, il rispetto del diritto di tutti i popoli interessati, che hanno caratterizzato il recente accordo italo-iugoslavo sulla zona B, ci sembra di aver dimostrato che attraverso Mazzini e Salvemini, hanno come padre spirituale Gobetti. Il suo pensiero resta come costante punto di riferimento per ogni scelta di liberazione civile in Italia, al servizio della pace e della cooperazione tra i popoli.
[Minoranze slave ed attualità dell’ideologia di Gobetti, in “Il Corriere di Galatina”, anno III, n. 1, 15 gennaio 1976, pp. 3 e 6. ]
Note
[2] U. Morra, Il messaggio di Piero Gobetti, Roma, s.d., p. 17.
[3] In Lettera a Niccolò Filippi, Milano, 11 maggio 1827.
[4] Cfr. G. Mazzini, Scritti editi ed inediti, vol. X, Milano-Roma 1861-1891, pagg. 134-137.
[5] Idem, ibidem, vol. XIV, p. 148.