La storia è materia difficile, forse la più difficile delle materie. Ma di questa materia difficile bisogna avere conoscenza. Soprattutto quando i tempi che vengono si presentano con la fisionomia deformata di altri tempi.
Ma forse non è del tutto vero che la storia sia una difficile materia. Forse dipende dal metodo che si adotta nel processo di conoscenza. Forse per comprendere la storia può essere sufficiente anche solo domandarsi perché ora noi siamo qui, perché siamo così, perché ci sono cose che rassomigliano straordinariamente a quelle del passato, perché ce ne sono altre che sono assolutamente diverse, che cosa ha determinato la rassomiglianza, che cosa ha provocato la differenza.
Certo, poi la difficoltà consiste nelle risposte, perchè non c’è mai una sola risposta, mai una sola ipotesi, quasi mai gli stessi distinguo, la conferma di un’analisi, una convergenza di interpretazioni. Spesso accade che la stessa persona formuli ipotesi diverse in circostanze e tempi diversi, che avanzi ipotesi contrastanti con quelle avanzate precedentemente, che interpreti i fatti in maniera differente.
Ma probabilmente la motivazione di questo si può rintracciare nel fatto che, come si diceva, l’uomo e la storia sono la stessa cosa, e gli uomini hanno vizi e virtù, nobiltà e miserie, poche coerenze e molte contraddizioni, hanno speranze, disperazioni, ambizioni, passioni, illusioni, delusioni, si lasciano ad un punto in cui non si ritrovano, fanno promesse che non sanno mantenere, dimenticano in fretta o fingono di dimenticare.
Così ci ritroviamo a dire che la storia non insegna niente, che non è magistra vitae: non lo è più o non lo è mai stata. Allora si ricomincia sempre daccapo. Allora si vive in una sorta di presente assoluto e lineare, che sembra non avere profondità, non avere prospettive, che sembra sospeso nel vuoto, proveniente dal niente e proteso verso il niente. Un presente senza storia e quindi senza memoria, incagliato nella condizione del superficiale, dell’effimero, del vago. Un tempo che consuma se stesso istante per istante. Un tempo senza esperienza, senza sedimentazioni, stratificazioni, senza concetti, senza conoscenza.
Ma vengono tempi in cui la conoscenza della storia assume i caratteri della indispensabilità, dell’ essenzialità, dell’ urgenza. Accade quando sono tempi inquieti, disorientati, di groviglio, quando quello che accade fa paura, quando tutto diventa incerto, instabile, malfermo, franante, precario, quando nello stomaco di ciascuno arrivano come un pugno quei due versi di Giorgio Caproni che dicono “Fa freddo nella storia/ voglio andarmene”, quando la regolarità lascia il posto al paradosso, allora è indispensabile, essenziale, urgente la conoscenza della storia.
Ma non si può elaborare una conoscenza della storia senza un appassionato sentimento del tempo: di quello al quale si appartiene, certamente, ma anche di quello al quale sono appartenuti coloro che hanno avuto tempo prima di noi, di quello al quale apparterranno coloro che verranno dopo.
Senza un appassionato sentimento del tempo, nella storia fa davvero freddo.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 24 aprile 2022]