Lina non era la Lina di Saba, la “buona, “la meravigliosa Lina” (chi cercasse nel nome la traccia di un carattere): aveva una divisa di severità, come s’è accennato, ma non era scostante e manifestava una sua amabilità contenuta e sorvegliata. Amava la puntualità. Era una persona aristocratica nel tratto, elegante nell’assisa quotidiana. Impeccabile è, forse, la parola che potrebbe compiutamente definirla.
Coltivava un segreto: la scrittura autonoma, da realizzare in proprio dopo aver dedicato tanta passione e tanto spazio a quella altrui, sia pure dotta e quale che fossero la forza e il fascino che potesse esercitare su di lei lettrice ed esploratrice di pagine ‘immortali’. Nasce così la personale scrittura letteraria, la prosa del romanzo Una “storia” del Noveceno. Il romanzo è un contenitore di temi e motivi che assillano il secolo trascorso e svelano un’attenzione, nell’autrice, che forse nessuno avrebbe sospettato. La quarta di copertina del romanzo chiarisce, nella scheda di presentazione, alcuni atteggiamenti profondi della narrazione, mette in luce i “valori” che sono stati le guide della vita di Lina. Si legga un passaggio almeno di quella scheda e si avrà una sorta di confessione. Dice così:
“Nel romanzo, ai fini di una più esatta interpretazione, va anche rilevato il valore che si dà al senso dell’onore, dell’onestà, e ancora al gesto, al sacrificio e infine l’importanza che viene riconosciuta a un livello simbolico del destino e della morte. E la bella morte è assunta con determinazione da Jacopo, protagonista ideale del romanzo, uno degli eroi che la storia non registra”.