di Luigi Scorrano
Che cosa significhi nascondersi dietro il proprio nome, e questo nome tenere quietamente in ombra senza l’assillo di dargli continuamente una rilevanza spesso d’accatto, ha mostrato Lina Jannuzzi con la propria vita e la propria scrittura. Dedicate entrambe, vita e scrittura, a un dovere quotidiano, hanno avuto come orizzonte privilegiato ed esclusivo il mondo della conoscenza letteraria, la vaghezza di quell’esercizio quieto, non isolante, che è l’esercizio della scrittura.
Non ha scritto molto, Lina; ha affidato a un’opera fondamentale (e filologicamente fondata) la sua qualità di studiosa: è stata esploratrice di pochi autori ma indagati con l’acume del suo sguardo apparentemente severo ma solo teso a illuminare le pieghe anche più riposte di un discorso. Chi l’ha conosciuta e frequentata per qualche tempo conosceva bene quello sguardo: acuminato esplorante, tagliente come un laser, ma lontano da ogni indiscrezione.
Aveva, Lina, scritta nel suo nome la sua vocazione: Carolina (Lina per gli amici), poiché il suo nome indica una forma di lontana scrittura medievale. Al mondo moderno, ancor più alla contemporaneità, era rivolto lo sguardo di Lina, come dicono con chiarezza le scelte operate per i suoi corsi universitari. Sobria fino a una secchezza di temi, come si sospetterebbe proprio dalle sue scelte, aveva come principio lo scavo su zone apparentemente limitate della ricerca letterarie. Ma una volta avvicinate, quelle zone si aprivano a sempre nuovo respiro, si arricchivano strada facendo fino ad aperture che non trascuravano nulla ma non ammettevano il troppo e il vano. Ogni acquisto doveva essere ben definito. I titoli dei suoi corsi e dei suoi libri conducono ai percorsi prescelti: Il “Crepuscolo” e la cultura lombarda dell’Ottocento (1966); Il carteggio Tenca-Maffei (1973); Eugenio Camerini: dieci anni di vita letteraria in Piemonte 1850-1859 (1977); Giovanni Verga: prove d’autore (1983); Sul primo Verga (1997); Il teatro di Fabrizio Colamussi (1990); Verga e il teatro europeo (1992); Sul primo Verga (1995); La rima gigante del Verga (1997) D’Annunzio (Primo vere) (1999). Fortunatissimo fu il lavoro dedicato al carteggio Tenca-Maffei che ridisegnava un mondo alla vigilia di importanti trasformazioni in area europea e che riportava alla memoria le pagine memorialistiche di un celebrato libro di Raffaello Barbiera, Il salotto della contessa Maffei, miniera inesauribile di aneddoti e di informazioni.