Letteratura barocca: studi di Marco Leone

Il titolo dell’opera di Leone contiene una chiara allusione hegeliana (fenomenologia) con la quale l’autore dichiara la sua volontà di procedere ad una disamina di autori, opere, movimenti letterari (le accademie), problematiche letterarie, polemiche militanti, ecc., col proposito di fornire al lettore un quadro quanto più completo possibile del fenomeno barocco-letterario, laddove il trattino sta ad indicare il limite entro il quale l’autore si muove, la letteratura dell’età barocca, studiata nei vari generi letterari: poesia lirica, sacra, encomiastica, poema epico, letteratura didattica, ecc.

L’area geografica oggetto d’indagine è l’Italia meridionale, con frequenti riferimenti al Salento e ai suoi rapporti soprattutto con Napoli, ma anche con Roma e Venezia, secondo un “vitale policentrismo culturale” (p. 149) che contraddistinse la letteratura dell’età barocca. Le vicende e le opere di Materdona, D’Alessandro, Mannarino, Bruni, Donno, Battista, ecc., di questi letterati che ebbero le origini anagrafiche salentine, non ci devono indurre ad ipotizzare l’esistenza di una letteratura barocca salentina, che di fatto non ci fu, ma a valutarne meglio la loro “integrale parabola poetica e culturale, ben più complessa e tutta spostata su un piano ‘nazionale’” (p. 150).

Come si comprende, al centro dell’opera di Leone emergono sempre i rapporti tra centro e periferia nella loro dialettica, ovvero negli effetti reciproci che ne derivano: “E l’asse Salento-Napoli può rivelarsi, così, una direttrice o una traiettoria geo-letteraria, che contribuisce a chiarire il nesso più profondo tra storia e geografia, ma anche fra centro e periferia, e i concetti stessi di policentrismo e di area geo-culturale: con la geografia che diviene, secondo tale prospettiva, una componente costitutiva e imprescindibile del quadro storico (un’intuizione già della critica positivistica) e con l’elemento ‘nazionale’ (il centro) che include e assorbe in sé, vitalmente e osmoticamente, quello regionale (la periferia), senza annullarne, per questo, la peculiare identità; e con la storia, infine, che si apre, su questi presupposti, a una visuale dialettica, diversificata e multicentrica delle dinamiche letterarie” (pp. 150-151).

Nello spazio di una breve recensione è impossibile dar conto esatto del ricco contenuto del libro. Seguendo la partizione dell’autore, si segnala che il volume è diviso in due parti pressoché di uguale numero di pagine: la prima intitolata Intorno al marinismo (pp. 9-160), la seconda Sulla cultura secentesca (pp. 161-296). Della prima parte, di particolare interesse sono le pagine sull’accademia napoletana degli Oziosi, sul dibattito antichi-moderni e la licenziosità del poema di Giambattista Marino, L’Adone; della seconda parte, le pagine sulla cultura e l’insegnamento (in latino) dei Gesuiti, sulla poesia sacra e la letteratura devozionale e sulla concezione della donna nella letteratura odeporica, ovvero di viaggio.

Michele Paone, come Stendhal rimpiangeva di non aver visto Venezia nel 1760, narrava nel 1968 il suo rimpianto di non aver potuto vedere Lecce nel Seicento, nel secolo in cui la città (…) espresse nelle lettere e nelle arti la misura della sua civiltà, che è civiltà essenzialmente barocca, con quel grumo di Spagna e di Controriforma che il termine racchiude…” (Lecce nel Seicento). Non c’è spazio qui, nelle pagine del ricercatore leccese, per alcun “rimpianto”; ma è certo che, come si diceva in apertura, non in un’altra città questo libro poteva essere concepito, se non a Lecce, per la sua storia e per la sua tradizione ormai consolidata di studi critico-letterari. Marco Leone ha saputo interpretare bene la prima, inserendola in una dimensione ‘nazionale’, e ha saputo proseguire la seconda con una ricerca seria e feconda che inevitabilmente aprirà la strada ad altri studi.

[in “Il Paese Nuovo” online del 23 gennaio 2013]

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