di Antonio Devicienti
La parola “saggio” possiede anche il significato di “prova” oppure vuol dire “esercizio, dimostrazione di” – in quest’esercizio di paesologia mi proverò, allora, a raccontare del mio paese natale scrivendo di luoghi altri da lui. La scienza della paesologia credo ammetta tali apparenti contraddizioni, perché i paesi respirano talvolta anche all’ombra o per affinità o per contrasto con luoghi altri.
Racconterò delle sue Capitali, dal momento che il mio paese natale si trova in una provincia di confine (qualcuno dice di confino, con quell’atteggiamento colmo di risentimento e di affezione tipico di chi è costretto a rimanerci pur desiderando andarsene, ma anche di chi poté o dové andarsene per un’imprevedibile, illimitata permanenza altrove); ch’esso appartenga a una provincia di confine significa che leggi, disposizioni giudiziarie, esazione delle tasse e altro ancora vi giungono da un capoluogo e da una Capitale. Siccome la paesologia non tiene evidentemente conto soltanto dello stato politico-amministrativo in vigore, ma sa saggiamente spingere il proprio sguardo indietro, ancora oggi il mio paese fa riferimento a Lecce, il capoluogo di provincia, a Napoli, l’antica, indimenticata Capitale borbonica, a Madrid e a Toledo, le Capitali remote e fantastiche, spagnole e barocche e a Bisanzio, la quale ultima, contrariamente a quanto sarebbe dato supporre, non è poi così inabissata nel ventre del tempo da apparire ormai irreale e irraggiungibile, tutt’altro.
Naturalmente tutto questo ha senso se gli occhi di chi guarda il paese sanno vedere le pietre degli edifici che emanano particelle di tempo, la gente abitare stanze dai soffitti altissimi stuccati da mani di altri secoli, i Santi nelle nicchie delle facciate recare in volto i tratti di Alfonso d’Aragona o di Maria d’Enghien.