L’ambientazione “paesana” fa da sfondo a due altri racconti, Il sarto nudo e Teresita, composti in periodi diversi ma accomunati dal tema dell’adolescenza, delle amicizie giovanili, dei primi amori. E mentre il primo descrive un buffo episodio accaduto nella casa del sarto, commentato sapidamente dai suoi allievi con eloquenti gesti e sghignazzi, l’altro è una favola aerea e leggera, proprio come la sua protagonista, l’equilibrista del minuscolo circo arrivato in paese con i tipici personaggi (il cavallerizzo, i pagliacci, il cavallo bianco, il somarello saltatore del cerchio) che riporta a un tempo passato col suo carico di nostalgia accentuata anche dal ritornello di una vecchia canzone. E Teresita, la «biondina, forse diciassettenne, in calzamaglia rosa» che passeggia «da un capo all’altro d’una corda tesa su un vuoto», della quale si innamorano segretamente i due ragazzi, diventa l’emblema della giovinezza, «fuggiasca come un sogno appena iniziato», destinata ben presto a svanire proprio come il circo trasferitosi improvvisamente in un altro luogo.
Nel racconto Incontro col regista fa irruzione invece il mondo della grande città, un mondo cinico e spregiudicato, che si contrappone a quello del paese, ricco ancora dei valori della civiltà contadina del Sud. Il regista cinematografico è il rappresentante di questo mondo, dove tutto si riduce a merce e dove bisogna accettare ogni genere di compromesso se si vuole fare carriera e raggiungere il successo. Da qui la scelta dell’io narrante, alter ego dell’autore, di continuare a restare nella sua terra «in mezzo ai suoi paesani che la sera stanno a discutere di raccolti e di salari, che non leggono forse ciò che tu scrivi ma rimangono stupefatti a sapere che hai pubblicato dei libri». E anche questo è un tema che lo scrittore ha affrontato in varie occasioni, come nel racconto lungo Il profumo dei gelsomini (1994), composto nel 1964 e pubblicato per la prima volta nel 1969, insieme ad altre prose, nel volume Provincia difficile, col titolo Chi rimane, dove il protagonista decide di restare nel suo paese per impegnarsi concretamente a favore della sua gente.
Ma Bernardini è stato anche un sensibile narratore di storie individuali, del malessere, della solitudine, dell’incomunicabilità quotidiana, nonché della difficoltà dei rapporti interpersonali, come dimostrano due delle prove più convincenti presenti in questo libro, Una sera in città e Altri giorni, risalenti entrambi all’inizio degli anni Sessanta. Una sera in città è appunto una storia di ordinaria solitudine metropolitana con al centro la figura di un “inetto”, definito non a caso «uno che nella vita non ci sa fare», che si aggira sperduto e angosciato di sera per le strade cittadine, in mezzo alla confusione e al frastuono, in cerca «d’un po’ di compagnia». E, arrivato in albergo, crede di averla trovata in una prostituta, la quale invece non ha alcuna intenzione di spendere con lui più tempo del necessario per ascoltare i suoi problemi e lo congeda in maniera sbrigativa, facendolo ripiombare nella disperazione.
Ma il vertice di questa raccolta, e una delle punte più alte della narrativa di Bernardini, è costituito, a mio avviso, da Altri giorni, una prova di scrittura di assoluta modernità, che non sfigurerebbe in una antologia dei migliori racconti italiani del secondo Novecento. Qui il tema è quello dell’amore inteso come possibilità di sottrazione alla banalità quotidiana ma questo tema è sviluppato dallo scrittore con un’abile costruzione narrativa basata su due piani intrecciati tra loro: il presente, in cui l’io narrante, steso in dormiveglia nel letto matrimoniale accanto alla moglie, ripensa ad “altri giorni” felici trascorsi in una città forestiera in compagnia di una giovane donna, e il passato, con la descrizione appunto di quei giorni. Al grigiore e all’insignificanza della routine quotidiana si contrappongono così momenti in cui l’amore dà l’impressione di vivere in un’“altra” dimensione della realtà e di cogliere il senso più autentico delle cose. Ma a prevalere, alla fine, è proprio la ripetitività, e quasi l’automatismo, di azioni e gesti consueti, compiuti a volte quasi istintivamente, come l’amplesso coniugale con cui si conclude il racconto.
Un esempio di prosa moderatamente sperimentale è rappresentata da Minicronaca, in cui affiora la vena umoristica di Bernardini che qui descrive una fine d’anno scolastico in un liceo classico di una cittadina meridionale tracciando un gustoso e graffiante ritratto della pittoresca fauna che lo popola. Ecco così che sfilano, uno dopo l’altro, sotto l’occhio divertito dell’autore, lo studente ambizioso, la segretaria autoritaria, il collega frustrato, il preside burocrate, ognuno con le sue piccole manie. Anche qui il presente si alterna al passato col ricordo di un viaggio compiuto qualche mese prima a Parigi in compagnia di due coppie di amici, durante il quale nei momenti di divertimento e allegria si insinua il pensiero della malattia e della morte.
A tempi più recenti riportano gli ultimi pezzi presenti nel libro, Stare al gioco? e Dittico dell’insetto nero. La prima, una prosetta ironica che si ricollega alla raccolta Il bivio e le parole, del 1989, mette alla berlina certi tic dell’ambiente culturale e artistico, con la descrizione di due petulanti personaggi che infastidiscono l’autore con le loro richieste, dalle quali egli si libera per un provvidenziale e improvviso malore. Dittico dell’insetto nero è composto invece da due raccontini accomunati dalla presenza dello scarafaggio, l’insetto di kafkiana memoria, che qui rappresenta forse il simbolo del pericolo sempre incombente sulla nostra vita. Non a caso, nel primo, si assiste a una sorta di lotta silenziosa tra il subdolo animale e l’io narrante dalla quale quest’ultimo esce piuttosto malconcio. Nel secondo, invece, l’immagine del protagonista imprigionato nella scatola di cartone nella quale voleva rinchiudere lo scarafaggio è una metafora del mistero dell’esistenza umana, vista, un po’ alla maniera montaliana, come una sorta di carcere da cui è impossibile evadere.
[Prefazione a G. Bernardini, Altri giorni, altri racconti, Lecce, Argo, 2008 e in A.L. Giannone, Modernità del Salento. Scrittori, critici, artisti del Novecento e oltre, Galatina, Congedo, 2009]