Zibaldone galatinese (Pensieri all’alba) XLI

di Gianluca Virgilio

L’infinito. Giacomo Leopardi, autore de L’infinito, in uno scritto del 2 maggio 1826 dello Zibaldone 4177 (Edizione Damiani, p. 2738) scrive: “Niente infatti nella natura annunzia l’infinito, l’esistenza di alcuna cosa infinita. L’infinito è un parto della nostra immaginazione, della nostra piccolezza ad un tempo e della nostra superbia.”

Piccolezza e superbia dell’uomo. Essendo così piccoli da non poter possedere il tutto, lo immaginiamo (“io nel pensier mi fingo”), immaginiamo il tutto come infinito, soddisfacendo così alla brama frustrata del mancato possesso. “Il credere l’universo infinito, è un’illusione ottica (…) [una] illusione naturale della fantasia.”. Leopardi fa l’esempio del fanciullo, o dell’ignorante, i quali pensano che la Terra sia infinita perché non ne vedono i confini. Allo stesso modo, noi immaginiamo che l’universo sia infinito solo perché non possiamo, non siamo in grado di avere le prove che esso sia finito.

La superbia sta nel non voler accettare la nostra piccolezza, costretta a delegare all’immaginazione quanto non potrà mai comprendere, per il semplice fatto che l’infinito non esiste in quanto oggetto identificabile (un dio, un idolo, ecc.), che altro non sarebbe che la proiezione della nostra volontà di potenza. Esiste solo l’essere, la materia pensante e vivente che si perde nel nulla.

In Zibaldone 4178 (Edizione Damiani, p. 2739), Leopardi scrive: “Pare che solamente quello che non esiste, la negazione dell’essere, il niente, possa essere senza limiti, e che l’infinito venga in sostanza ad essere lo stesso che il nulla.”

Il naufragio dell’essere nel nulla è un naufragio piacevole (“e il naufragar m’è dolce in questo mare”). Bisognerebbe interrogarsi sul perché questo momento supremo, in cui l’essere si annulla, sia detto “piacevole”. Probabilmente, il piacere che la vita nega al vivente è quello che l’uomo può provare solo al momento della morte, cioè quando la materia pensante smette di pensare e si trasforma in materia tout court, facendo il suo ingresso nel nulla, che da ogni parte circonda la vita. Allora, la chiara comprensione in extremis della nostra reale posizione nel mondo, liberandoci da ogni credenza superstiziosa e da ogni laccio ideologico, finalmente ci dona il piacere, il piacere di rientrare nel nulla da cui siamo venuti.

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