di Giuseppe Virgilio
Non v’è dubbio che dalla formazione del nostro Stato nazionale fino alla caduta del fascismo la cultura italiana abbia corrisposto nello spirito e nelle opere alla difesa di posizioni di predominio sui beni materiali della società. Bisogna giungere ai lavori dell’Assemblea Costituente se si vuole rinvenirvi, per certi versi, un ritorno al razionalismo quale momento di una grande battaglia culturale e filosofica in senso progressivo.
Negli anni 1944, 1945, 1946 all’interno di una decadenza e di una crisi in quasi tutti i campi dell’attività culturale, dalla ricerca scientifica a quella filosofica e storica e della creazione artistica alla critica, la classe egemone ha ritenuto che lo strumento dominante nell’alta cultura fosse l’idealismo attualistico gentiliano, per il quale tutta la storia è stata ed è storia dello Stato. Perciò quel momento filosofico è stato considerato quale punto di arrivo di tutta la scienza, dopo che Gentile si è staccato da Croce, cioè dall’indirizzo idealistico che, nato in sul finire del XIX secolo, ha grandemente contribuito da una parte ad arginare i tentativi di riportare il pensiero al tomismo ed alla scolastica medievale, e dall’altra a liberare la cultura italiana dalle volgarità positivistiche accumulatesi nelle manifestazioni culturali del socialismo ottocentesco. Bisogna tuttavia aggiungere che anche il crocianesimo è stato minato dalle sue stesse contraddizioni. Il fondamento della dottrina del crocianesimo, difatti, è stato razionalistico in quanto ha inteso a far comprendere dagli uomini colti la realtà sociale. Nel primo decennio di questo secolo, tuttavia, alcune correnti politico-culturali hanno distillato dai veleni del decadentismo europeo una retorica della terra e del sangue, della tradizione e dell’aristocrazia dei valori che si è prolungata ben oltre la crisi degli anni Venti e Trenta, diffondendo la sfiducia nella ragione umana. Anche il crocianesimo, postulando che la realtà esistere soltanto nella mente umana e non è qualcosa di esterno e di oggettivo, ha indotto a credere che la realtà non possa essere modificata dall’iniziativa dell’uomo e non possa diventare sorgente delle sue speranze.
Dopo il 1929 la cultura italiana subisce una repressione sistematica della libera critica e della ricerca spregiudicata da parte dell’autorità religiosa e del potere politico convergenti in una continua attività censoria. Si pensi al caso di Ernesto Bonaiuti. Per impedire le sue lezioni si è minacciata di interdetto l’Università di Roma; e si pensi a Bruno Nardi, medievalista insigne, al quale le autorità ecclesiastiche, e primo fra tutti Agostino Gemelli, con avversità implacabile hanno fatto negare una cattedra a Roma. Nasce allora, anche ad opera della cultura clericale “(…) il mito di un idealismo come fronte compatto, politico e culturale, che avrebbe sintetizzato tutti gli aspetti deleteri del mondo moderno: dalla riforma protestante al kantismo, all’hegelismo, al marxismo, ad ogni forma di razionalismo critico pronto a mettere in discussione ogni principio d’autorità (…)”[40].