di Antonio Prete
L’onda di terra e di pensosa dolcezza
che dalla città di pietra e di gridati
vessilli s’allontana verso balze
di castagni, verso sperduti torrioni,
sventagliandosi in poggi e in sentieri,
ha venti che la carezzano nelle ferite
e brividi di giallo che annunciano
la sera, con la fiorita di stelle
che la sovrasterà.
.
Eppure in quel vuoto d’alberi,
in quella perduta allegria di fogliame,
l’orlo dell’estremo niente
si mostra con un tepore
di appartenenza, con un arido guizzo
di prossimità alla sapienza delle ombre,
al loro dialogo assiduo con la luce.
.
Si può avvertire, qui, il suono
della lontananza che lambisce la quiete,
perché la terra è parte del cielo.
E il silenzio incatena l’ alfabeto
astrale al volo rapido del fagiano
che cerca il cespuglio,
al tonfo del ranocchio nello stagno,
al filare di cipressi che si adagia
sulla curva e lentamente affonda nel nero.