a) La decisione riflette una richiesta della Nato. A ben vedere, per contro, l’innalzamento del tetto di spesa al 2% del Pil è in linea con un aumento sistematico delle spese militari degli ultimi anni e fa capolino a partire dal 2006 in un accordo informale fra i Ministri della Difesa e rilanciato al vertice dei capi di Stato e di Governo del 2014 in Galles. Accordo mai ratificato dal Parlamento. Si calcola, poi, che le spese militari in Italia sono aumentate dai 21.5 miliardi del 2019 ai 25.8 previsti per il 2022, soprattutto per l’aumento dei fondi per nuovi armamenti (da 4.7 a 8.2 miliardi l’anno). E ancora: le spese militari dei Paesi europei sono aumentate del 24.5% a partire dal 2016.
b) Le spese militari costituiscono un deterrente rispetto all’evolversi del conflitto armato. Anche questo argomento è agevolmente criticabile, da due punti di vista. In primo luogo, vi è un’enorme sproporzione fra quanto spendono i Paesi belligeranti e quanto spende l’Italia, così che il nostro peso militare nella risoluzione del conflitto è del tutto irrisorio. In secondo luogo, le spese militari hanno effetti di lungo periodo, mentre la risoluzione della crisi in corso richiede interventi di breve periodo.
C’è di più. Uno studio di “Sbilanciamoci” ha messo in evidenza la necessità di una riforma delle forze armate italiane. Si spende troppo per le forze armate in Italia: troppi sprechi, troppe spese inutili, troppi soldi per le armi, troppi privilegi per una casta che in questi anni ha saputo ben difendere i propri interessi corporativi e rinviare quella necessaria riforma della Difesa che manca da troppo tempo.
Poiché le nuove spese per armamenti vengono effettuate in costanza di bilancio pubblico, esse configurano una redistribuzione del reddito a danno dei salari e a vantaggio in primis della filiera produttiva della Difesa. In più, l ricadute occupazionali sembrano essere irrisorie. Si consideri, ad esempio, il sito di Cameri, dove verosimilmente verranno prodotti e assemblati i nuovi F35: a fronte di una stima di 10.00 occupati in più, non ha mai assunto più di 1031 dipendenti, con una differenza del 40% dall’ultima proiezione.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 30 marzo 2022]