Enrico De Mas si era laureato in Filosofia con Armando Carlini e, successivamente, in Scienze Politiche con Giacomo Perticone. Studia sin dall’inizio Vico e Bacone, anche se il suo Autore preferito e veramente amato rimane sempre Francesco Bacone. Nel 1959 scrive il piccolo lavoro “Bacone e Vico”; nel 1964 pubblica alcune sue profonde meditazioni su “Francesco Bacone da Verulamio”: la “Filosofia dell’uomo”: è l’inizio della grande fatica durata alcuni anni, durante i quali dà alla luce la “sua” traduzione italiana delle opere del filosofo inglese: Opere filosofiche (1965), “Novum Organum” (1968), “Scritti politici, giuridici e storici” (1971), l’opuscolo “Francis Bacon” (1978). Il Bacone di De Mas è il banditore della filosofia, della scienza e della tecnica che, ispirate da spirito cristiano, avrebbero consentito il perseguimento di un realistico regno dell’uomo sulla terra. “Il suo secolo – disse Giuliano Marini – si confermava, negli studi degli anni successivi, quel Seicento che era stato intravisto o sperato come epoca di una cristianità ricomposta e pacificata, nel segno di interpretazioni bibliche e di approfondimenti teologici che restituissero il deposito antico della fede cristiana, liberandolo da incrostazioni positive e da artificiose divisioni ecclesiastiche. La più ampia di quelle indagini si ebbe nel 1982 con L’attesa del secolo aureo (1603-1625), splendido affresco di un’età pervasa da fremiti religiosi e politici”. Seguirono lo studio sulla Descrizione della Repubblica di Cristianopoli nel 1983 e, nel 1987, le Lettere di Fulgenzio Micanzio a William Cavendish.
Gli interessi speculativi di De Mas investono, contemporaneamente ma
soprattutto negli ultimi anni, un altro campo di interessi: i pensatori e le
correnti del Novecento filosofico italiano, con particolare riferimento alla
storia della filosofia detta “minoritaria”, in quanto non in mostra né in
posizione di confronto, ma non per questo meno carica d’incisività teoretica e
di capacità innovativa grazie alle concrete proposte di rinnovamenti, sempre
dettati da esigenze morali e sorretti da motivazioni anche religiose, ritenute
sicuro lievito di dignità umana nella libertà politica. Tale posizione è
esemplarmente rappresentata dai volumi “Giuseppe Rensi tra democrazia e antidemocrazia” del
1978 e “Dibattito di filosofia politica italiana (1919-1929)” del
1985, nei quali esamina (con puntualità storica) e valuta (con rigore logico e
morale) teorie e prassi politiche contemporanee, dimostrando come numerosi
pensatori debbano entrare a buon diritto a far parte della storia delle
dottrine politiche, in quanto, essendo stati autori di analisi storiche spesso
ampie, o anche solo di opuscoli impegnati, di scritti di storia e di diritto,
non possono rimanere ancora al margine nemmeno nella sola discussione del
problema più generale, e cioè del posto da assegnare all’attività politica
nell’ordine delle scienze teoretiche e pratiche. L’intera indagine che De Mas
dedica a questi autori contemporanei mira anch’essa ad evidenziare la possibilità
concreta di democrazie sorrette da motivi civili e morali, sorretti sempre da
spirito religioso autentico: di democrazie, cioè, che pensino società e
sostengano governi fatti a vera e totale misura d’uomo, in cui siano reali,
quindi, nuove prospettive culturali, alimentate da convinzioni fondamentali
comuni alle varie concezioni culturali, ai diversi progetti politici, e anche
alle sempre più numerose confessioni religiose.
E’, questo, uno dei motivi dominanti di tutti gli studi e della vita intera di Enrico De Mas. E negli ultimissimi mesi aveva avviato la realizzazione di un suo grande sogno, al quale teneva immensamente e nel quale riponeva speranze profonde: aveva dato vita alla pubblicazione della Collana “Eirenikon”, consegnando alle stampe i primi tre volumi da lui stesso curati: erano testi di Francesco Bacone, di Fulgenzio Micanzio e di Marc’Antonio De Dominis; nel frattempo aveva provveduto ad ‘assegnare’ ad altri studiosi (che lui desiderava – come ripeteva ogni qualvolta si presentava l’occasione – “capaci, ma anche lucidi e generosi, onesti e profondi”) la ricerca sulle opere di altri Autori, di cui aveva approntato una lunga lista che comprendeva, tra gli altri, Amos Comenio, Giovanni Keplero, Gaspare Scoppio, Goffredo Guglielmo Leibniz, Ugo Grozio, Francesco Pucci, Francesco Du Jon, John Goodwin, Michel de L’Hospital: “una ideale comunità – come commentò il Marini – di spiriti liberi In quei giorni appariva animato da un insolito entusiasmo; una gioia rara ne dipingeva lo sguardo, in genere schivo ma incisivo. I volumi freschi di stampa gli furono portati, mentre era già nel letto dove sarebbe morto dopo qualche giorno: li teneva tra le mani, guardandoli di tanto in tanto, come volesse custodirli e difenderli da ogni pericolo. “Questa collana di testi irenici ed ecumenici dei secoli XVI-XVII-XVII – aveva scritto nel Prodromo del primo volume – comincia con una esauriente raccolta degli scritti di Francis Bacon, dedicati ex professo ai problemi teologici, ecclesiologici e politico -ecclesiastici, che per certi aspetti è destinato a dare il tono generale e l’impostazione di fondo a tutta la serie. Essa tende a raccogliere e a riproporre all’attenzione degli studiosi – seguendo sempre i criteri scientifici della sistemazione storiografica e le regole della filologia del testo – le proposte concrete, meglio se inedite e conservate in antiche carte o in stampe rare, di carattere teologico, morale, diplomatico, pedagogico e filosofico, che furono dettate in quei secoli da scrittori eminenti e influenti, per la notorietà che ebbero nella repubblica delle lettere e per la particolare competenza e padronanza dei mezzi idonei ad affrontare il problema più rilevante ed aspro del momento: lo scandalo delle guerre di religione fra i cristiani di opposta confessione o appartenenti a chiese e sette rivali”.
“Quest’ammirevole progetto, insieme scientifico ed etico-religioso, – annotò con razionale amarezza il Marini – è stato bruscamente interrotto, e siamo bruscamente richiamati alla coscienza della provvisorietà nostra e delle nostre opere. Nella sua mitezza, insospettato sognatore, il nostro amico coltivò arditi sogni della ragione. ‘Uomo dei dolori che ben conosce il patire’ – se è lecito usare le parole di Isaia – egli seppe trasformare le asprezze quotidiane in strumento per un silenzioso esercizio di rigore su se medesimo e per la conquista di nuovi orizzonti per la comunità scientifica (…). Tutti coloro che lo hanno conosciuto ricordano commossi lo studioso, il maestro, l’amico”.
Durante le festività natalizie del 1989, prima di salutarci nella stazione di Pisa, mi fece leggere alcune pagine dattiloscritte: era il regalo natalizio che mi aveva preparato nella solitudine del suo studio; non glielo avevo chiesto, ma sapeva che ne sarei stato contento: Erano pagine di Presentazione al mio volume di ristampa della monografia scritta nel 1943 da Alfredo Poggi su Piero Martinetti. Ricordo la sua espressione sorridente di soddisfazione, unita a profonda consapevolezza che la vita va accettata sempre e comunque, con umana razionalità e religiosa disponibilità. Ne avevamo parlato tante volte tra di noi, ma in quei giorni egli vi aveva insistito: mi aveva confidato di non sentirsi bene, ma nulla di più. Mi raccomandò di portare a termine i tre lavori concordati per la collana Eirenikon, Comenio, keplero e Scioppio. Avrei anticipato il mio ritorno a Pisa solo qualche settimana dopo quell’incontro, ma non per “chiacchierare” (come amava chiamare le nostre lunghe conversazioni) ma per raccoglierne le ultime confidenze. La sua era ormai lucida e malinconica accettazione.
Enrico De Mas non vide il mio volume pubblicato; era ancora in stampa, ed io
potei solo aggiungervi un Post-Scriptum, dove scrissi, tra l’altro che
“una malattia mortale l’ha sottratto alla terrena repubblica delle lettere, di
cui egli è stato degno e prestigioso cittadino. Riteniamo siano state le ultime
pagine da lui scritte. E se per tutti esse trasmettono il messaggio che
documenta la sua nobiltà d’ingegno e la sua elevatezza di sentimenti, per noi
custodiscono il testamento spirituale dell’amico disinteressato e del maestro
profondo ed umile. Eredità feconda rimane il suo realismo ricco di entusiasmo e
di fiducia in un mondo concretamente perfettibile grazie alla pacifica
laboriosità di uomini moralmente responsabili. Ed in tutta la sua opera egli ha
trasmesso con autorevolezza e suadente vigoria i segreti della fede nelle
veraci conquiste dello spirito umano, incessantemente proteso verso il
trascendente, creduto con incrollabile fermezza”.