Dovrei aggiungere qualcosa sullo Zibaldone, perché l’autore l’ha pubblicato in due tempi: dapprima lo Zibaldone galatinese (pensieri all’alba), i cui estratti sono stati pubblicati regolarmente sul sito www.iuncturae.eu e nello stesso tempo su “Il Galatino”, quindicinale salentino, in una pubblicazione che si dilata e attualmente è ancora in corso; inoltre, nel luglio 2020 è stata pubblicato lo Zibaldone salentino, un libro di 150 pagine che riprende un certo numero di testi dello Zibaldone galatinese, con molte aggiunte. Dalla sorgente dei pensieri vagabondi del dormiveglia alla rifinita riflessione scritta, Gianluca Virgilio ritorna a più riprese sulla genesi della propria opera, come per rispondere alla supposta domanda di un lettore legittimamente sorpreso dalla forma scelta, ma senza dubbio anche per il bisogno di ritornare periodicamente sulle proprie tracce e di ridefinire il senso del proprio lavoro: no, non c’è né una trama predefinita né un piano; questi scritti riflettono il caos o la monotonia della vita con le sue impressioni e le sue emozioni, il disordine dei pensieri e il lavoro metodico della riflessione nutrita dalle innumerevoli esperienze di lettura, sono il prodotto di una necessità di scrivere che si impone come una funzione naturale tanto quanto le altre funzioni corporee vitali, fino alla ricomposizione dei fogli sparsi grazie all’intuizione d’una coerenza possibile, che guida la composizione retrospettiva.
È da questo intricato materiale che emerge l’opera in lingua francese che il lettore scopre oggi. Alla fonte, varie traduzioni di testi estratti dallo Zibaldone o da altri scritti, eseguite come di consueto in piena libertà e disordine, senza altra motivazione da parte mia che il semplice desiderio di trasmettere ai miei amici nel modo più accurato possibile alcuni echi del pensiero dell’autore salentino, per confrontare diverse esperienze e riflessioni. Così, dall’inizio di questa impresa che nel tempo e durante le nostre discussioni mi si è presentata via via sotto forma di un progetto ben meditato, ci sono stati continui andirivieni tra le due pubblicazioni, dal confronto dei pensieri contenuti nelle pagine dello Zibaldone salentino, fino al loro paragone più metodico con i frammenti dello Zibaldone galatinese online, alla ricerca di altri sviluppi che naturalmente hanno richiesto le scelte che ho fatto.
Le fasi di questo lavoro possono essere trovate sul sito www.iuncturae.eu sotto forma di una ventina di « extraits» pubblicati man mano che le traduzioni avanzavano. Il lettore ha già capito che lo Zibaldone, diario dei pensieri, è un’opera particolare: l’esaustività essendo per natura irraggiungibile, anche nella prima stesura del diario privato da cui « Tante cose sono escluse… », se non altro perché i pensieri sono in continuo aggiornamento e il presente non è mai chiuso su se stesso, la ricerca costante della molteplicità, della sfumatura e della profondità ne fa un’opera perennemente incompleta. Gianluca Virgilio si definisce il « rapsodo » dei frammenti da lui composti, i tagli e gli accostamenti che fa nei propri scritti dimostrano che nulla è scolpito nella pietra. E siccome tutto cambia – l’oggetto della riflessione così come il soggetto che scrive – , a volte è bene fermarsi lungo la strada, guardare dietro di sé e dar conto del cammino percorso. Questo spiega la creazione dello Zibaldone salentino. Oggi Gianluca Virgilio, di fronte all’accumularsi di frammenti del proprio pensiero espressi con parole di una lingua diversa dalla propria, considera questo nuovo corpus in lingua francese abbastanza significativo da sentire il bisogno di dare ai « disiecta membra » una forma in grado di rivelare la loro coerenza interna, secondo il ritmo della coscienza umana che fa nascere spontaneamente i pensieri, dimenticando alcuni per richiamarne altri, approfondirli, trasformarli, tornare a esporne le diverse sfaccettature e creare così, nello stesso spirito dei precedenti, questo nuovo Zibaldone.
L’etimologia generalmente avvicina la parola Zibaldone al termine culinario Zabaione, un alimento composto da vari ingredienti che una persona abile nell’arte riesce ad omogeneizzare in una sostanza perfettamente liscia, di cui un solo cucchiaio contiene tutto gli elementi divenuti inseparabili. Nell’opera di cui il lettore è invitato a nutrire la propria mente si incontrano di volta in volta semplici note di lettura, commenti, aforismi, racconti, analisi, descrizioni, riflessioni filosofiche; alcuni sono scritti quasi in stile telegrafico con finta rapidità, altri si sviluppano nella chiarezza dell’argomentazione rigorosa o nella bellezza di un’evocazione. A cavallo di una frase potente, di un’immagine poetica, di un ritmo, di un silenzio, lo scrittore scopre e crea contemporaneamente la forma particolare che gli si impone nel condividere la sua profonda verità: così prendono corpo le impressioni, le esperienze, i pensieri, vecchi e nuovi, ricorrenti, di cui l’inaspettato accostamento, il fitto intreccio e il continuo mescolarsi operano infine la metamorfosi in un insieme omogeneo, nel quale ogni frammento si fonde e integra in sé il sapore peculiare della totalità, effetto del linguaggio che, con il suo potere di amplificare, di superare costantemente la singolarità degli elementi, restituisce l’interezza delle cose pensate.
Il lettore ora sa che il nostro Zibaldone, unificato dai suoi echi interni, dai suoi richiami, dalle sue opposizioni, i tratti che si rispondono e lo strutturano, non si può raccontare. Si dà così com’è nei suoi incessanti tentativi, si impone come luogo di risoluzione delle tensioni fondamentali. La prima di queste tensioni riguarda senza dubbio il rapporto tra lettura e scrittura, vale a dire i due poli irriducibili della vita intellettuale di Gianluca Virgilio, scrittore-che-legge/lettore-che-scrive. La sua pratica di lettura è impegnativa, il testo lo monopolizza, provoca nuove riflessioni, suscita emozioni sconosciute, apre altre prospettive di pensiero; viene poi in questo lettore bulimico l’irrefrenabile bisogno di tornare alla pagina bianca, di giungere alla scrittura personale, di ordinare le cose nelle quali ci si è imbattuti e, a forza di ricerche, di rendere intelligibile la complessità, per se stesso e per i suoi lettori ai quali egli si rivolge. Queste due passioni, a volte percepite come in competizione per il tempo che richiedono, trovano tuttavia nello Zibaldone il loro punto di fusione, ne sono prova le numerose citazioni di autori da cui Gianluca Virgilio prende in prestito parole per ritrovare meglio le sue. Egli giustifica questa pratica… con altre citazioni! Più o meno lunghi, commentati o no, questi innesti essenziali tentano di riprodurre nella scrittura l’eccitazione provata durante la lettura, che, come l’emozione dell’amore, non dipende né dal libro né dal lettore ma dal loro incontro casuale: era necessario interrompere la fuga del testo letto, fermare lo sguardo sul brano, sottolinearlo, marcarlo, prelevare una citazione e integrarla nel proprio testo come ricordo di una passione. Esiste un modo di leggere più intimo, quando per il lettore le parole diventano oggetto della stessa attenzione che hanno avuto per l’autore che le ha scritte?
Gianluca Virgilio ha distinto i suoi due Zibaldone: uno è “galatinese”, l’altro “salentino”. Questi aggettivi si riferiscono al luogo dove è nato, dove ha trascorso le prime stagioni della sua giovinezza, dove è tornato dopo diversi anni di allontanamento: è il comune di Galatina in provincia di Lecce (nel Salento), nell’estremo sud d’Italia. Leggendo i suoi testi, è facile vedere che questo è il suo punto di ancoraggio essenziale, la sua appartenenza sociale, affettiva e intellettuale. Tuttavia, il suo libro non può essere affrontato dall’angolo ristretto del regionalismo, non è rivolto a un lettore desideroso di esotismo e di evasione. Certo, il tempo dell’esistenza fisica dello scrittore è legato a questi luoghi particolari, molte pagine testimoniano una conoscenza approfondita del suo ambiente e il suo profondo attaccamento al paese che lo ha formato, ma l’assidua frequentazione di più autori formati in altri luoghi, in altri i tempi, e il confronto spontaneo o metodico che ne deriva, lo portano, quando cerca parole per ridire il reale, a parlare dell’universale. Le domande esistenziali che spingono Gianluca Virgilio a scrivere non sono dunque speculazioni intellettuali più o meno eteree basate su un sapere astratto. Al contrario, nate sul terreno di queste esperienze miste, esse si incarnano all’interno del suo singolare universo mentale, legato a Galatina e al Salento, ma non solo: sono tutt’uno con lo scrittore, che tenta di definire ai suoi stessi occhi ciò che egli è, l’interezza del suo essere, e se possibile coinvolgere il suo lettore da qualunque parte provenga in questa stessa ricerca.
Con un materiale così filtrato dalla disposizione delle parole, lo Zibaldone appare come una continua ricerca di equilibrio tra le molteplici contraddizioni che sorgono in tutti i campi del pensiero e turbano la coscienza. Le dottrine e i luoghi comuni che dovrebbero aiutare ad accettare la tragedia del destino umano impediscono lo sviluppo del pensiero; pur sapendo riconoscere la dolcezza e la saggezza delle tradizioni ancestrali, Gianluca Virgilio osa opporre loro la lucidità di uno sguardo critico, il disagio del dubbio, il diritto di contraddirsi, di sfumare il proprio pensiero affinché prendano corpo, temporaneamente e come di sorpresa, pensieri corrispondenti all’emozione reale dell’osservazione. Non avrebbe senso, in questa unità inscindibile, voler separare gli elementi per farne un inventario. Per poco che ci si lasci andare a individuare alcune relazioni evidenti su cui si costruiscono riflessioni fondamentali come la vita e la morte, la giovinezza e la vecchiaia, il potente e il debole, l’azione e la contemplazione, l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, e tante altre facilmente individuabili, l’analisi di tali opposizioni binarie assume rapidamente una piega caricaturale, perché è lontana dal tener conto della complessità del rapporto in cui, da un frammento all’altro, questi estremi si incontrano, si sfidano, si osservano, dissolversi nella ricerca dell’armonia. A dire il vero, nello Zibaldone, senza alcuna costruzione apparente ma con i suoi molteplici andirivieni, le sue sequenze spiraliformi, le sue sequenze casuali, i suoi collegamenti obliqui, tutte le polarità si uniscono e costituiscono la sostanza stessa dell’opera. Vi si mescola ogni sorta di soggetto che alimenta la vita interiore, come la durezza delle società, gli effetti perversi del progresso tecnologico, il controllo delle masse, le menzogne del potere, l’illusione della libertà, i freni all’esercizio del pensiero critico, ma anche i bei momenti di insegnamento, l’effetto benefico della natura, gli incontri con la bellezza, il ben vivere, e molti altri altrettanto essenziali. Quanto alla percezione umana del tempo, che priva l’infanzia della sua prima spensieratezza, essa suscita continui interrogativi nel pensiero dello scrittore, sempre stupito di essere stato tratto dal nulla per essere gettato nel mondo con una data di scadenza.
Non temendo di usare l’ «io», senza dogmatismo o narcisismo, ma con l’umiltà del dubbio che nel suo caso è soprattutto un punto di forza, Gianluca Virgilio si interroga sul suo giusto posto tra i contemporanei, all’interno dell’umanità e dei viventi in genere, che comprendono anche animali e piante, sul significato da dare alla propria vita personale come attore del suo sviluppo o come semplice osservatore degli eventi, sulla forza del desiderio di fronteggiare la morte inevitabile. Ma come collocarsi in un mondo in continuo mutamento, in cui l’orizzonte cambia in continuazione, quando si è presi noi stessi dal movimento del tempo? La scrittura è un tentativo di risposta, perché permette di stabilire la fermezza nella mobilità, che è esattamente ciò che Montaigne a suo tempo intendeva pittoricamente con la necessità di trovare « l’assiette », cioè l’equilibrio del cavaliere in movimento che cerca di rimanere in sella sul suo cavallo che si agita. Oggi, Gianluca Virgilio sperimenta a sua volta che la scrittura frammentaria, punteggiata di silenzi, gli si impone per dare forma alla sua vita interiore nel modo più naturale possibile; è dunque con un’opera a pezzi staccati, ciascuno identificabile dalle prime parole in grassetto, che con tutta semplicità invita il lettore a lasciarsi sorprendere, a condividere con lui queste pagine dove scrittura e lettura si fondono nella ricerca di ciò che ciascuno porta dentro di sé; così facendo egli rischia che qualcuno si senta scosso, magari modificato anche durevolmente, è caratteristica della “buona letteratura” mettere insieme le alterità e fecondare il pensiero.
Il nostro lettore sta dunque per scoprire e, glielo auguro, sta per appropriarsi intimamente di questo Zibaldone in lingua francese di Gianluca Virgilio, l’amico perfetto a cui io voglio dire tutta la mia riconoscenza per avermi dato piena fiducia nella scelta dei frammenti che compaiono in questa raccolta. Meravigliosa libertà di cui ho sentito tutto il valore come traduttrice, a cui è dato di ascoltare ciò che è suo nella voce dell’altro, e che ha mantenuto intatta la mia voglia di vincere la resistenza della lingua straniera a fondersi con la nostra. È dunque dalla mia affettuosa vicinanza al testo originale che è nata l’esigenza di dargli vita rendendo possibile il suo viaggio oltre confine; e quando, non potendo trattenere tutto, è stato necessario scegliere / escludere certi amati frammenti, mi è sembrato di poterlo fare con serenità, confidando anch’io nella capacità del lettore di riconoscere nelle pagine dello Zibaldone un pensiero che a contatto con il proprio può ancora crescere e svilupparsi liberamente. In questa sorta di conversazione libera, né pedante né dogmatica ma coltivata, a volte divertita, il lettore troverà frasi scritte proprio per lui. Possa egli considerare questo libro come una presenza che lo chiama, un’opportunità che ha incontrato sulla sua strada.
[Introduzione all’edizione francese di Gianluca Virgilio, Zibaldone salentino, Edit Santoro, Galatina 2022, traduzione dal francese di Gustavo Paradiso]