Abbiamo “bonificato” le acque “malsane” delle paludi, eliminando un altro modo per calmierare gli eccessi di acqua. Il dissesto idrogeologico che affligge il nostro territorio deriva da una cattiva gestione locale, dalle bonifiche all’impermeabilizzazione dei suoli, e da una ancor peggiore gestione a livello globale, con il già citato cambiamento climatico. Come uscirne? La risposta è la transizione ecologica che, però, non potrà essere attuata senza una transizione culturale che basi il nostro agire su solida conoscenza dei processi naturali, nel rispetto dei ritmi della natura. Se li alteriamo, ne paghiamo le conseguenze. La transizione ecologica viene spesso identificata con la produzione di energia ma deve riguardare anche la gestione dell’acqua. L’acqua genera elettricità: un tempo eravamo maestri nel produrla dall’acqua che scorre, con l’idroelettrico. Ma abbiamo quasi abbandonato questa produzione di energia, pienamente rinnovabile. I motivi sono geopolitici ma derivano anche da una cattiva gestione dei processi di produzione di energia dall’acqua. Basti pensare alla costruzione di dighe in zone inadatte, come ci ha tragicamente insegnato la catastrofe del Vajont. La storia del nostro rapporto con l’acqua continua con la salificazione delle falde acquifere: emungiamo acqua dalle falde e queste sono invase dall’acqua marina che le rende inutilizzabili per i nostri scopi. Con l’acqua non si scherza. D’estate andiamo al mare e abbiamo cementificato le coste con un intensissimo “sviluppo” costiero. La dinamica delle coste, però, non prevede stabilità, come suggerito dalla parola “dinamica”. Se costruiamo direttamente sulla linea di riva, ci esponiamo al rischio che i nostri insediamenti siano spazzati via dal moto ondoso che “toglie” in alcune parti della costa e “mette” in altre parti. L’acqua modella gli ambienti ed è difficile da arginare, deve essere assecondata. Abbiamo tombato i torrenti, cementificato i letti dei fiumi, ingessato le coste con le difese costiere. Poi, si verificano eventi estremi che portano morte e distruzione. Pensiamo di risolvere con il cemento la cattiva gestione del territorio, esacerbando i problemi con soluzioni a breve termine che portano a problemi ben maggiori. Abbiamo capito che la transizione ecologica è necessaria. Abbiamo cultura sufficiente per attuarla? Per il momento pare di no.
[“Il Secolo XIX” del 22 marzo 2022]