Gli aumenti dei prezzi – anche per il Governo – sembrano essere ingiustificati anche in altri settori, in particolare nella produzione e vendita di energia. Dato il carattere oligopolistico dei mercati nei quali viene l’energia viene venduta, è opportuno valutare la necessità di intervenire: si ragiona, su questo fronte, intorno alle opzioni tassare gli extraprofitti e ridurre le accise. La seconda opzione, se presa da sola, è più problematica per il Governo, dal momento che, a parità o perfino con l’aumento della spesa pubblica, comporta, in nome della libertà d’impresa, uno scostamento di bilancio, che, come chiarito dal Presidente Draghi, dovrebbe essere concordato in sede europea. La tassazione degli extra-profitti ha la sua ratio nella circostanza che le imprese non li utilizzano per investimenti e tantomeno per innovazioni, ma tendono a tesaurizzarli. Non è incostituzionale, come pretende Confindustria, sebbene il calcolo degli extra-profitti possa prestarsi ad alcune difficoltà tecniche. Si calcola, a riguardo, che un litro di benzina senza accise avrebbe circa la metà del prezzo attuale (poco più di 1 euro) e che la totale abolizione delle accise costerebbe allo Stato, in termini di minor gettito, circa 35 miliardi.
Contestualmente, la BCE sta preparando l’avvio di nuove misure per contrastare l’inflazione. Ma vi è un problema. In una condizione prossima alla stagflazione, quale nella quale siamo, ovvero di coesistenza di alta inflazione e di stagnazione, la politica monetaria è a un bivio: deve essere espansiva per accrescere gli investimenti e generare crescita, deve avere il segno contrario per tenere sotto controllo i prezzi. Sono decenni, in effetti, che il tasso di inflazione non raggiungeva le cifre di oggi. Si tratta del 7.9% negli USA (cifra che non si vedeva da lontano 1982) a fronte di una previsione della BCE del 7.1% nel 2022 (il tasso di inflazione target, fissato al 2%, si avrebbe – stando alle previsioni – solo nel 2024). Il bivio nel quale si trova la gestione della moneta è notevolmente accentuato dai rischi di ulteriore finanziarizzazione. E’ quanto è accaduto negli ultimi decenni e quanto sta accadendo oggi. La finanza può costituire un potente strumento di freno degli investimenti produttivi e di redistribuzione del reddito a danno dei percettori di redditi bassi e fissi. Per ridurre il peso delle attività speculative occorrerebbe modificare la struttura normativa sugli strumenti derivati, negoziando in sede WTO (Organizzazione mondiale del commercio) e riportandoli alla loro natura originaria di assicurazioni contro i rischi del mercato reale.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, 22 marzo 2022]