di Antonio Errico
Il nove di agosto del 1916, a Torino, moriva un ragazzo che non aveva avuto il tempo di trasformarsi in uomo e un uomo che non aveva mai avuto il tempo di essere un ragazzo. Si chiamava Guido Gustavo Gozzano. Aveva trentatré anni. A ventiquattro gli era stata diagnosticata una tubercolosi polmonare. Dopo il liceo si iscrisse a giurisprudenza ma non studiò mai. Di mestiere fece il poeta, e fu un grande poeta, come ogni grande poeta qualche volta incompreso, spesso incompreso. Poeta minore, per lungo tempo si è detto; troppo crepuscolare, mellifluo, lezioso, uno che riduceva la vita a scenetta provinciale, uno che per personaggi aveva la mamma, la Nonna Speranza, la Signorina Domestica, l’avvocato un po’ malato, il molto Regio notaio, il farmacista, il signor sindaco, il dottore. Disse Scipio Slataper che il suo era un mondo di chicche al limoncello, che il suo romanticismo era uno stagnetto di disvio.
Invece Gozzano è un grande poeta. Lo capirono subito Borgese e Serra, per esempio. Dissero che aveva la civetteria degli accordi che sembrano falsi, delle bravure che sembrano goffaggini di novizio; dissero che conosceva le origini letterarie di tutti i sogni.