Quanto alle armi, la loro capacità distruttiva e la loro alleanza con la morte, con la produzione di morte, non sono neutralizzate dal fatto che chi le adopera, o lo vende, o le dona, lo fa per una causa ritenuta giusta. La loro funzione ultima è quella di uccidere e ferire.
Un punto d’osservazione difficile, quello di chi si pone nella posizione che ha la pace come orizzonte necessario, e per questo, come del resto recita la nostra stessa Costituzione, “ripudia la guerra”. Quell’articolo della Costituzione bisognerebbe scriverlo a grandi lettere sulle pareti di ogni fabbrica che produce e vende armi: l’asprezza della contraddizione potrebbe forse suggerire qualche passo in più nella critica politica della produzione di armi. Sul piano poi delle relazioni internazionali la grande questione del disarmo, e la via degli accordi progressivi tra organismi politici sovranazionali sulla dismissione di armamenti letali e di armi nucleari appare un’illusione sfiorata alcuni decenni orsono e ormai tramontata. Le spese militari nella loro roboante e proterva crescita offendono la povertà, sbeffeggiano le diseguaglianze. Irridono a ogni forma di cultura.
Un’ultima considerazione. La prossimità, l’aiuto, il soccorso rivolti alla popolazione ucraina, l’accoglienza messa in campo per i profughi, tanto più possono attingere a una compassione per dir così pura, e profonda, quanto più includono nell’orizzonte dello sguardo e della cura, e nelle ragioni dell’indignazione, altri feriti, o sottoposti a violenze, sotto altre latitudini, sotto altre condizioni. Si tratta insomma di non respingere tra gli invisibili i campi profughi libanesi, le metodiche occupazioni e aggressioni nella striscia di Gaza, i campi-lager libici, e così via.
Un’enumerazione amarissima che dovrebbe includere quel che nel passato recente è stato frettolosamente nascosto e che i nomi di Baghdad o Kabul o Damasco possono evocare. Un’enumerazione che non può distogliere e sperdere la cura, ma può anzi di volta in volta radicare questa cura su ragioni non di schieramento politico ma semplicemente umane. Possono sembrare considerazioni di comoda astrazione, che sfuggono al dovere di prendere posizione, e schierarsi, e resistere, eppure da molti anni organizzazioni come Emergency o Medici senza frontiere, e tante altre a loro simili, non fanno che muoversi, con ammirevole determinazione e dedizione, in questo orizzonte. Il loro punto d’osservazione, e non le logiche politiche e di sopraffazione e di radicamenti territoriali e nazionalisti, può dischiudere un nuovo sguardo. Forse, un nuovo tempo.
[“Doppiozero” del 15 marzo 2022]