Carte d’amore di Antonio Prete

Ogni percorso d’amore ha inizio con un’”apparizione”: la figura d’amore è quella che, staccatasi “dal fondo, è apparsa come singolare, e via via necessaria, assoluta”. Questo è, per Antonio Prete, il manifestarsi di un amore, è “il colpo di fulmine”, l’istante folgorante dal quale non è concesso trovare riparo. È Charlotte che appare a Werther, Giulietta che appare a Romeo, Teresa a Jacopo, Emma che apre la porta a Charles e, “in una sorta di indefinizione corporea”, rimane ferma sulla soglia di casa nel suo abito di lana blu. È Kitty che appare a Lèvin non più come la ragazza che conosce da quando era bambina ma come donna della quale è innamorato. È Anna che appare a Vronskij, in un primo incontro di sguardi, sulla carrozza del treno, come un solletico, un soffio di aria sul collo che fa voltare improvvisamente la testa. Nel momento in cui gli apparirà di nuovo, in un secondo incontro, il solletico si trasformerà in desiderio, infiammato da “un movimento, qui affidato sottilmente al gioco tra gli occhi e il sorriso”.

Nel viaggio attraverso il desiderio, la seconda terra da scoprire è quella del turbamento: dell’insinuarsi di una nuova figura nell’iride dell’innamorato, affiorano i sintomi della “scomposizione di un ordine interiore”.  L’oggetto d’amore diviene tutto quello che l’innamorato può vedere, un “pensiero dominante” di leopardiana sembianza, “cristallizzazione di un’immagine, fascinazione, custodia mentale di una presenza”. Talvolta, poi, la fascinazione non è esercitata dall’immagine di una persona ma dall’idea stessa di amore, come simulacro, come nebulosa che si vorrebbe assumesse la forma di uno dei volti che affollano le strade, riconoscerne uno a sé destinato. Seguendo un fascio di luna, lungo il cammino notturno del Manrico di Bècquer, si giunge nella regione del segreto, dell’amore nascosto, non per timore del giudizio altrui ma perché a volte l’amore non è dicibile. Diventa silenzio: che si trova nelle dantesche “donne dello schermo”, nel lutto della Teresa dell’Ortis. Quando il silenzio viene rotto subentra la confidenza. Passando per le terre dell’infedeltà e della gelosia – le terre più aspre, fredde, buie, inospitali – , si giunge alla terra della seduzione, quella magica di Circe, quella distruttiva delle Sirene, quella che ha la forma della “vanitas” del Don Giovanni; e ancora la seduzione che si cela negli occhi infuocati della “Lupa”, nelle braccia nude di “Lolita”, nell’inatteso che irrompe nella vita del  “Professore di desiderio”  di Roth.

Apparizione, fascinazione, seduzione: tutto contenuto entro i “confini del corpo”, nella sua presenza e nella sua assenza, nell’essere fuori o entro quei confini, corpo che è luce o notte oscura, materia o fantasma che ondeggia nel baluginare di una luce verde alla fine di un pontile e che, riflettendosi negli occhi di Gatsby, si fa simbolo dell’illusione che ci spingiamo in avanti alla ricerca di un orizzonte, mentre invece “continuiamo a remare, barche contro la corrente, sospinti senza posa verso il passato”. Attraverso una “fisica del sentire”, figure di “amati” e di “amanti”, insediandosi nel prendere forma di un’assenza che si fa poesia e, dunque, “presenza e custodia di quella presenza”, si approda, poi, alla contemplazione del “paesaggio dell’amore”, “dove la linea dell’apparire confina con il nascosto”.

Il percorso che si compie leggendo “Carte d’amore” è una passeggiata tra le strade del desiderio in una sera d’inverno, con le mani fredde nelle tasche del cappotto e la testa piena di parole, di astri, di silenzi. Una passeggiata in una sera in cui ci sembra di essere troppo felici.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, 15 marzo 2022]

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