Pensieri di un telespettatore

2. Il giornalista indovino

La tendenza sopra registrata è responsabile anche del fatto che spesso nei talk show la domanda del conduttore verta non tanto sugli eventi passati o in corso, ma sugli sviluppi futuri. Ciò si concretizza nella richiesta di definire uno ‘scenario’ futuro. Sebbene questa richiesta abbia una sua giustificazione nel legittimo desiderio di prevedere in qualche modo gli eventi, bisogna dire che tale previsione è legata a ipotesi più o meno verificabili e quindi esposta ad un grado più o meno alto di aleatorietà. La prassi è giustificata nell’ambito di previsioni politiche o economiche che debbono guidare l’azione di governi o di istituti di ricerca, ma trova minore legittimazione in ambito giornalistico, specialmente in trasmissioni che ex professo si occupano di attualità. E comunque non si capisce perché la previsione del futuro occupi, come spesso accade, la parte maggiore degli interessi e delle richieste dei conduttori. Sarebbe più logico concentrarsi maggiormente sull’analisi e sull’interpretazione dei fatti passati o di quelli in corso, che sono gli unici su cui può esercitarsi una riflessione che disponga di dati. Un comportamento che vale non solo per l’analisi storica, ma anche per la cronaca. Invece i giornalisti sembrano preferire il ruolo dell’indovino, più che quello del cronista.

3. Il giornalismo e i principi di indeterminazione di Heisenberg

Il rapporto ‘attivo’ che lega il cronista agli eventi che indaga porta ad un’altra osservazione. Il cronista, o il giornalista, con il suo comportamento cessa di essere un testimone esterno dei fatti, ma un co-attore. Mi spiego. E’ nota la definizione dei mass media come “quarto potere”, che si riferisce all’influenza globale che essi esercitano sulla vita sociale. Qui però voglio dire che l’informazione che viene data dei fatti non solo documenta i fatti, ma influenza il comportamento degli attori. E’ assai probabile (anche se non provato) che, nelle recenti trasmissioni sull’elezione del Presidente della Repubblica, le continue notizie date dalle maratone televisive sui vari movimenti degli attori politici abbia di volta in volta influenzato i loro comportamenti, tanto più che contestualmente venivano date le varie reazioni che essi suscitavano nell’opinione pubblica. Lo stesso può dirsi di eventi politici di più lunga durata nei quali le opinioni progressivamente emergenti e divulgate condizionano le decisioni che gli organi politici assumono. Starei per dire che gli ‘eventi’ non hanno più la libertà di ‘avvenire’ in piena libertà (o in santa pace) ma subiscono continuamente interferenze da parte delle notizie che degli ‘eventi’ si danno.

Questo fenomeno può ben ricadere nell’ambito del principio di indeterminazione di Heisenberg, che riguarda, si sa, il comportamento delle particelle atomiche. Una delle risultanze di tale teoria è che l’atto dell’osservazione altera il comportamento degli oggetti osservati. Da ciò l’impossibilità di una conoscenza oggettiva nel campo della fisica quantistica. Allo stesso modo non solo la conoscenza del giornalista non è oggettiva (e questo si sapeva), ma egli, con il suo continuo intervento nel corso degli eventi (intervento espresso visivamente dalla selva di microfoni che assediano i personaggi politici, e non solo) condiziona e influenza il loro comportamento e porta ad esiti che probabilmente non sono gli stessi che il personaggio in questione avrebbe dato se non fosse stato, per così dire, ‘disturbato’ da interventi esterni. Si può dire che questo è il ruolo della ‘pubblica opinione’, ma il fatto non cessa di essere una dimostrazione di interferenza in corso d’opera.

4.  La torre di Babele

Nel corso della pandemia l’esplosione delle opinioni è stata veramente grande. Andando sulle varie reti televisive si potevano osservare contemporaneamente programmi che parlavano tutti dello stesso fatto: l’andamento dei contagi. E in ogni programma erano presenti almeno due esperti tra virologi, immunologi e statistici, oltre alle immancabili personalità politiche ed agli opinionisti di ogni tipo. E tutti a turno esprimevano i loro pensieri, a volte concordanti a volte discordanti. Il gran numero di ‘attori’ era dovuto certamente alla convinzione che si dovesse rispettare il pluralismo delle opinioni. Ma forse non era estranea l’idea che la somma delle diverse opinioni portasse alla verità. L’idea cioè che quanto più sono i pareri espressi, tanto più essi contribuiscono a delineare la verità dei fatti. Una convinzione non del tutto condivisibile, perché la validità delle opinioni espresse dipende solo dal vaglio critico che ne possiamo fare e dal grado di persuasione che esse riescono ad esercitare su di noi, su ciascuno di noi. Sicché possiamo dire che la massa di pareri messi in campo cercava di offrire una base per la verità, ma a me sembrava che essa innalzasse soltanto una torre di Babele.

5. Il conduttore prepotente

Una figura particolarmente importante nel giornalismo televisivo è il conduttore. Come dice il nome, il suo compito è quello di ‘condurre’ il talk-show, di farlo andare avanti. Come obbligo minimo egli dovrebbe presentare i problemi e dare ordine agli interventi degli opinionisti invitati. In realtà la sua funzione va oltre queste modalità di comportamento. Come responsabile del programma il conduttore propone, oltre agli argomenti specifici, anche una linea interpretativa che è connessa con la posizione culturale dell’emittente per cui lavora. E sin qui nulla di strano: i fatti non si possono separare dalle opinioni. Ma quello che disturba è il fatto che spesso il conduttore non solo propone la linea interpretativa ma vuole dimostrarla attraverso i suoi opinionisti. Mi spiego. Il conduttore non si limita a chiedere la loro opinione, ma pone di volta in volta domande precise, sollecita risposte che contribuiscano al suo assunto interpretativo. Correttezza vorrebbe che l’invito all’opinionista fosse di tipo generico e soprattutto che questo fosse lasciato libero di esprimere la sua opinione dandogli lo spazio necessario per argomentarla. Spesso però si assiste allo spettacolo di chi, per ragioni di tempo televisivo toglie la parola ad un interlocutore ed invita un altro a parlare con altrettanta rapidità. Quando addirittura l’interruzione del discorso non è motivata da esigenze di orario e di pubblicità. E non sono rari i casi in cui il conduttore sovrappone la sua voce a quella dell’interlocutore o lo interrompe bruscamente per fare precisazioni o chiedere chiarimenti: tutte cose che si potrebbero fare alla fine di un discorso. Bisognerebbe considerare che un discorso ha bisogno di tempo per essere sviluppato e che ogni strozzatura, oltre ad essere contraria a regole di cortesia, rischia di snaturare il discorso stesso e di ridurlo al rango di puri slogan. Se il problema è il numero degli invitati ad un talk-show, allora è meglio ridurli e consentire che gli interventi abbiano la durata necessaria (cosa che in alcuni programmi, ma non in tutti, avviene).

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