La crisi dell’Ucraina, a detta di tutti gli analisti politici e gli esperti di geopolitica e relazioni internazionali europei, inizia da molto lontano, almeno dal 2014, con l’annessione da parte della Russia della Crimea, e con la richiesta dell’Ucraina della adesione alla Nato. Una serie di fattori trascurati dalla politica europea ha portato allo scoppio dell’incendio con la proditoria azione russa di oggi. Ora, però, ed è questo il fatto, in Ucraina si muore, perché l’invasore vuole dare corso alle proprie rivendicazioni, costi quel che costi, ed avere ragione a prescindere dalla verità o falsità delle argomentazioni addotte. Putin, con un atto di tracotanza, per il quale Dante lo avrebbe condannato al VII girone dell’Inferno (ma pare che, a parte il “cerchio magico”, l’opinione pubblica ed il popolo russo non siano disposti a seguirlo nel “folle volo”, come i compagni fecero con Ulisse), vuole cioè avere ragione dell’Ucraina anche se la ragione sta dalla parte dell’avversario, quindi con pretesti falsi, del tutto inventati, utilizzando una dialettica eristica (per quanto di dialogo ci sia ben poco nel solitario monologo putiniano) come quella che descrive Schopenhauernell’Arte di ottenere ragione. Intanto, i civili inermi muoiono sotto il fuoco russo. Allora che fare? Io sono solo un privato cittadino, non ho incarichi di responsabilità né sono un esperto di politica estera, ma i valori più grandi che abbiamo ricevuto dai nostri padri in Europa, dopo la fine della seconda guerra mondiale, ossia la libertà e la pace, cui si unisce la democrazia nella quale viviamo in Italia, mi permettono di esprimere il mio parere.
Faccio un esempio banale ma efficace: se dei ladri armati fino ai denti mi entrano in casa, determinati a tutto pur di non ritornarsene a mani vuote, io, anche se avessi il porto d’armi ma non fossi certo un tiratore scelto e consapevole della mia impreparazione di fronte a dei professionisti del crimine, che cosa farei? Ingaggerei con quelli un conflitto a fuoco (è vero, molti lo fanno, in preda a rabbia e disperazione, con tragiche conseguenze), mettendo a repentaglio l’incolumità mia e dei miei famigliari, oppure consegnerei loro la refurtiva per salvaguardare il bene supremo della vita dei miei cari, riservandomi poi di rivolgermi alla giustizia con la speranza (certo vana) che i malfattori vengano acciuffati e il maltolto restituito? Dunque, in questo momento di stallo, in cui sembra che nessuna negoziazione possa sortire un effetto, mentre i morti si ammucchiano sulle strade di Kharkiv e di Dnipro, cosa è più importante: sventare l’occupazione russa del paese o la salvaguardia delle vite umane e dell’enorme patrimonio culturale di cui è depositaria la millenaria civiltà ucraina?
Nessuna giustificazione può soccorrere nella patogenesi del crimine di Putin, è chiaro, nel suo diabolico atto, causa ed effetto trovano le proprie radici in un ordito che porta alla violazione delle leggi e dei trattati internazionali. Nell’atto di Zelensky invece opera, per l’eterogenesi dei fini, teorizzata da Wundt, una necessaria distinzione fra la causa, che è quella nobile della difesa del proprio Paese da un vile ed esecrabile attacco, e gli effetti, che sono preterintenzionalmente delittuosi, in quanto comportano la perdita di migliaia di vite umane. La realtà oggettiva, cioè, e le conseguenze non intenzionali della decisione di Zelensky, contrastano tragicamente con le sue azioni intenzionali. Ma la resa dell’Ucraina, mi si potrebbe obbiettare, creerebbe una fatale spirale negativa perché, come tutti i mezzi di comunicazione affermano, il sanguinario dittatore potrebbe poi aumentare la posta, rilanciare, e avanzare assurde pretese su altri paesi europei, in primis la Polonia e poi le repubbliche baltiche. Vero, è un’ipotesi molto probabile, ma in questo caso almeno l’Europa avrebbe dalla propria parte il fattore tempo. Perché se il tempo è contrario nella guerra ucraina per fermare l’“inutile strage”, da qui alla prossima mossa di Putin, invece, sarebbe a nostro favore, poiché ci sarebbe un discreto lasso di tempo nel quale si potrebbe organizzare una strategia mondiale per riprendere e liberare l’Ucraina e debellare la minaccia russa. Quale sarebbe questa strategia? Naturalmente quella di rimuovere il principale nemico della pace oggi al mondo, ossia il Presidente della Russia. Deve soccorrere la ragione, ancora una volta, sempre. Prima di tutto, l’intelligence europea dovrebbe in questo momento costringere il Premier Zelensky ad abbandonare l’Ucraina e riparare in un paese occidentale dove poter stare al sicuro insieme alla sua famiglia, oppure, come extrema ratio, di fronte al rifiuto di quello, consegnarlo a Putin affinché venga eliminato. Una vita umana può valere di più di dieci, cento, diecimila, centomila? È la fredda considerazione di chi fa uso della ragione. Poi, il compito più importante a cui i servizi segreti sarebbero chiamati, è quello dell’eliminazione di Putin. Del tutto evidente che questa non possa avvenire attraverso un attacco armato a Mosca, il che significherebbe aprire la terza guerra mondiale. Il tiranno non deve essere eliminato alla luce del sole, dandogli una morte eroica, che lui desidererebbe, esattamente come la desidera Zelensky. Il tiranno deve essere eliminato nell’ombra, attraverso una morte raffinata quanto meschina, come quella di Hitler. Intanto le borse sono in picchiata e il prezzo del petrolio è alle stelle. Le sanzioni applicate alla Russia, per quanto pesantissime, sostengono gli economisti che non produrranno un effetto immediato. Non si può aspettare che Zelensky muoia da invitto, come Catone l’Uticense, l’eroe della libertà della Pharsalia di Lucano. Con riferimento alla sproporzione delle forze in campo e alla cosiddetta guerra asimmetrica, ho sentito in tv fare un paragone biblico, quello di Davide contro Golia: ma la fionda e la pietra nel 2022 servono ben poco.