L’umanesimo per tornare a essere felici

di  Antonio  Errico

Vent’anni fa, in un saggio che s’intitola I sette saperi necessari all’educazione del futuro, il sociologo francese Edgar Morin scriveva della condizione dell’umanità come destino planetario. Diceva che la comunità di destino deve lavorare affinché la specie umana si sviluppi in umanità, in coscienza comune e in solidarietà planetaria. Diceva così: “Dal momento che la specie umana continua la sua avventura sotto la minaccia dell’autodistruzione, l’imperativo è divenuto: salvare l’Umanità realizzandola” .

Nel tempo che attraversiamo, si rivela probabilmente indispensabile  domandarsi se quell’imperativo si è fatto più urgente; se è diventata più urgente la realizzazione – la costruzione – di un nuovo umanesimo.  Perché si  può scampare al disastro soltanto riscoprendo il senso profondo dell’essere nel tempo e dell’essere nel mondo. Nei tempi  che verranno, forse più che in ogni altro tempo, la parola umanesimo significherà credere, radicalmente, sostanzialmente,  nella inevitabilità di un destino comune, di un destino planetario.

Abbiamo bisogno di comprendere questo, profondamente.

Abbiamo bisogno di nuovi concetti e di nuove  parole per dire quello che riguarda tutti noi  e ciascuno di noi, per raccontarci, per esprimere le nostre paure e le nostre speranze, per delineare i nostri  profili di esistenza, le configurazioni delle nostre sorti, per narrare le storie essenziali, le storie complesse, per pronunciare gli interrogativi, confessare i nostri dubbi, rivelare le nostre paure, per leggere e interpretare i fatti della storia, le loro cause, i loro effetti, le loro coerenze, le loro contraddizioni; le loro inconciliabilità. Ancora: abbiamo bisogno di nuovi concetti e di nuove parole per le  domande che si moltiplicano e per le risposte che diminuiscono. Ancora: abbiamo bisogno di elaborare anche nuovi significati della memoria, soggettiva e collettiva, oppure di rinnovare i significati stratificati in questa parola. Senza un nuovo senso e una nuova funzione della memoria, si corre il rischio di ritrovarsi senza possibilità di confronto, senza il conforto dell’esperienza. In un deserto di senso e di sentimento.

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