di Ferdinando Boero
Il 2 marzo 1972, cinquant’anni fa, fu pubblicato il volume The limits of growth commissionato al Massachussets Institute of Technology dal Club di Roma, di Aurelio Peccei. Il volume fu tradotto in italiano con il titolo I limiti dello sviluppo.
Crescita e sviluppo non sono la stessa cosa. Lo sviluppo prevede crescita ma, raggiunte le dimensioni ottimali, la crescita si interrompe. Per gli economisti (non tutti) la crescita economica non deve fermarsi. Se si ferma c’è stagnazione, se si inverte c’è recessione. Entrambe sono viste come negative e l’obiettivo principe è, appunto, la crescita. Chi lo mette in dubbio viene tacciato di volere il ritorno al lume a petrolio, e altre amenità. I modelli presentati nel volume del MIT, e nelle edizioni successive, sono stati criticati da più parti, che ne hanno messo in dubbio l’attendibilità.
Anche Malthus, molto tempo prima, aveva suggerito, con il suo modello, l’impossibilità della crescita infinita. Ispirando a sua volta sia Darwin sia Marx. Concediamo pure, per assurdo, che i modelli non siano stati accurati nelle previsioni delle modalità con cui si sono sviluppati i sistemi economici. Quel che importa è il semplicissimo concetto che la crescita infinita non è possibile in un sistema in cui le risorse non sono infinite. Se usiamo la superficie terrestre per costruire i nostri insediamenti e per mettere in atto le pratiche agricole, dobbiamo tener conto che la superficie disponibile ha dimensioni finite. E dobbiamo capire che non è possibile che la popolazione umana cresca all’infinito. Soprattutto in una specie come la nostra, all’apice delle catene alimentari. Possiamo ottimizzare i sistemi di produzione e consumo, ma i limiti prima o poi verranno imposti dall’esaurimento delle risorse. Se anche dovessimo usare l’energia del sole e del vento che, per le nostre scale, sono infinite, dobbiamo tener conto che le infrastrutture per trarne energia a noi disponibile occupano spazio che, di nuovo, non è infinito. Il rapporto sui limiti della crescita aveva e ha ragione nelle sue estreme conseguenze. Il fatto che l’Europa metta in atto il Green Deal e la Transizione Ecologica è una presa d’atto dell’impossibilità di crescere per sempre. Quale è stato l’impatto di quel volume? L’impatto culturale è stato enorme. Ma l’impatto sullo stato delle cose è stato nullo: come se non fosse stato scritto. Uno dei miei detti preferiti è: È inutile avere ragione se non si riesce a farla valere. Da qui la frustrazione di chi ha capito certe ovvietà, di fronte alla quasi universale negazione dell’ovvio. L’odiosa frase: l’avevamo detto! è di magra consolazione.