di Guglielmo Forges Davanzati
Non vi è dubbio che la crisi sanitaria in corso potrebbe rappresentare un’opportunità per rivedere il modello di sviluppo dell’economia italiana. A ben vedere, tuttavia, ad essa si è cercato fin qui di far fronte con interventi emergenziali: bonus e sussidi monetari in una prospettiva di breve periodo, anche se va riconosciuto che la sua eccezionalità difficilmente consente, nelle condizioni date, di immaginare soluzioni più azzardate.
Il principale vulnus delle politiche messe in atto riguarda la scarsa attenzione al mondo dell’Università e della ricerca scientifica, al quale sono destinati fondi irrisori rispetto a quelli dei quali avrebbe bisogno dopo decenni di definanziamento: 1.4 miliardi a fronte di una manovra che copre complessivamente 55 miliardi. Le recenti discussioni sull’autonomia differenziata intervengono sulla questione e lo fanno riproponendo uno scenario già visto, che vuole le Università italiane differenziate in base alla loro presunta eccellenza.
Su questo punto occorre sgombrare il campo da un equivoco: non esiste alcun parametro oggettivo che sia in grado di discriminare i centri di ricerca fra eccellenti e non eccellenti. Ciò a ragione del fatto che i Dipartimento universitari non sono omogenei al loro interno e, dunque, un’operazione di valutazione relativa fra loro si configurerebbe come un confronto fra pere e mele
Si ripropongono alcune istanze confindustriali degli ultimi decenni nel settore della formazione e della ricerca, puntando, in particolare, su una formazione immediatamente spendibile nel mercato del lavoro. La criticità di questa impostazione consiste nel non considerare il fatto che le conoscenze acquisite oggi dagli studenti – in un regime di accelerazione dell’avanzamento tecnico – sono destinate a diventare rapidamente obsolescenti.