di Pietro Giannini
Negli ultimi giorni vi sono state diverse proteste degli studenti liceali. I temi della protesta erano almeno due:
– la contestazione della pratica dell’alternanza scuola-lavoro, sulla base dell’incidente mortale occorso allo studente friulano;
– la contestazione della reintroduzione delle prove scritte nell’esame di maturità di quest’anno.
I due temi sono stati portati avanti insieme, ma dallo sviluppo degli eventi si è capito che quello più rilevante è la questione delle prove scritte, ed in particolare di quella d’italiano.
La motivazione addotta dagli studenti è che dopo due anni di didattica ‘anomala’, con la prevalenza di quella a distanza, essi non sono in grado di sostenere una prova di tal genere.
Da questo punto di vista le proteste degli studenti sono giustificate. Se l’adozione della modalità orale era stata adottata lo scorso anno a causa dalla pandemia, la stessa motivazione vale per l’anno in corso, dal momento che la pandemia è ancora in corso.
Comunque, nel corso del dibattito che ha accompagnato le vicende sui giornali, una affermazione degli studenti mi è parsa particolarmente significativa: “Sì, a noi scrivere fa un po’ paura” (titolo di un articolo di Paolo Di Paolo su La Repubblica del 9 febbraio 2022). Nell’articolo, che registra l’incontro con gli studenti del Liceo “Pimentel Fonseca” di Napoli, lo scrittore chiede le ragioni della paura. La risposta degli studenti offre interessanti spunti di riflessione sul piano semiologico e culturale. Eccola: