di Antonio Lucio Giannone
1. Il nome di Cesare Giulio Viola ricorre spesso negli studi dedicati al crepuscolarismo e, in particolare, al circolo crepuscolare romano, accanto a quello di altri poeti che gravitavano intorno a Sergio Corazzini. Giuseppe Farinelli, ad esempio, nel suo fondamentale volume sul movimento crepuscolare, inserisce Viola nel «gruppo di coetanei» di Corazzini «che si davano appuntamento al caffè Sartoris o al più famoso caffè Aragno o che lo accompagnavano nelle sue notturne peregrinazioni nella Roma deserta»[1]. Anche Angela Ida Villa, nel suo esaustivo lavoro sul crepuscolarismo romano, dopo aver effettuato un «censimento anagrafico degli appartenenti»[2], lo fa rientrare a pieno titolo nella «cerchia corazziniana», in quanto Viola è destinatario di alcune lettere di Corazzini, non pervenuteci, dedicatario di due poesie di Fausto Maria Martini ed è menzionato in varie testimonianze su questo gruppo. Inoltre, ancora, in quanto è autore di un libro di versi, L’altro volto che ride. Poemi, pubblicato nel 1909.
Finora però non è stata rivolta un’attenzione specifica alla produzione poetica di Viola, la quale, oltre a questa raccolta, comprende anche alcune composizioni apparse su vari periodici tra il 1905 e il 1907. La stessa Villa, che pure prende in esame tutti gli altri esponenti del gruppo, non gli riserva una trattazione perché, come lei stessa chiarisce, il criterio cronologico seguito «ha imposto l’esclusione dei testi non risalenti agli anni 1903-1907»[3]. Soltanto in una recente monografia di Luigi Scorrano, dedicata prevalentemente all’attività teatrale, si accenna rapidamente a questo aspetto della sua opera[4]. Eppure la poesia di Viola merita di essere presa in considerazione sia per delineare più compiutamente la fisionomia del cenacolo corazziniano sia per certe peculiarità presenti in essa.