All’albo di ogni scuola comparirà una graduatoria degli insegnanti meritevoli: il docente Tizio varrà € 1000, il docente Caio 500, il docente Sempronio 200, ecc. Chi non vorrà farsi valutare sarà considerato o un timido o un immeritevole. Gli insegnanti valutati, e premiati per il loro merito, andranno in giro per la scuola e nelle classi ed anche nelle strade della città con un cartellino pinzato in un orecchio con su scritta la cifra esatta del loro merito, come un tempo si faceva con le vacche del mercato, pronte per essere vendute. E allora tutti sapranno come stanno le cose a scuola! Infatti, non è forse giusto che il genitore sappia quanto è effettivamente prezzato sul mercato scolastico l’insegnante cui egli affida il suo distinto rampollo? E – ditemi un po’ – perché un genitore non dovrebbe volere il meglio per suo figlio, in cui ha riposto tutte le speranze di un migliore avvenire, e reclamare per lui l’insegnante cui il dirigente scolastico ha conferito, in applicazione dei criteri definiti dal suddetto comitato di valutazione, il merito maggiore staccandogli l’assegno più sostanzioso?
I criteri, già: quali saranno i criteri? Il tempo più lungo trascorso a scuola: e se l’insegnante lo passasse scaldando la cattedra? Il maggior numero di progetti realizzati: ma per quelli non si è forse più o meno lautamente pagati? La qualità dell’insegnamento in classe: ma chi è presente in classe col docente per accertare la qualità del suo insegnamento? Sarebbe meglio affidarsi alla vox populi: vox populi vox Dei!
Insomma questa Legge 107/2015 è un bel pasticcio. Il legislatore ha voluto con faciloneria porre riparo a decenni di disattenzione sulla scuola, durante i quali è successo di tutto: dall’ingresso a scuola di persone impreparate al progressivo svilimento del docente ridotto a poco più che un bidello con funzione di baby sitter nei confronti di adolescenti in cerca, invece, di una solida guida. La classe dirigente degli ultimi quarant’anni ha perseguito lentamente, ma con costanza e metodo, l’affossamento della scuola pubblica, distruggendo la funzione culturale del docente (il docente deve essere in primis un uomo di cultura, altrimenti che docente è?), la distruzione delle biblioteche scolastiche che un tempo erano la fonte del suo aggiornamento, per dare i soldi alla scuola privata oppure favorendo l’ingresso nella scuola pubblica di privati sempre più rapaci, con una serie infinita di progetti che hanno distolto studenti e docenti da ogni serio rapporto pedagogico. Tutto questo per un pugno di euro, cui i docenti non hanno saputo rinunciare.
Il malessere della scuola aumenterà, ci saranno i buoni e i cattivi, i meritevoli e gli immeritevoli, gli orgogliosi e gli invidiosi, si parlerà –come già si parla – solo ed esclusivamente di soldi. Ma questo è il mercato, signori, non lo sapevate?
[“Quel che posso dire”, Edit Santoro, Galatina 2016, pp. 73-76]