di Gianluca Virgilio
“La Scuola se non è Scuola è tana, taverna, postribolo…”.
Frase raccolta dalla viva voce di Luigi Vantaggiato,
docente di Storia dell’Arte nei Licei d’Italia.
Uno spettro si aggira tra gli insegnanti della Scuola italiana, lo spettro della valutazione. La legge 107/2015 impone al dirigente scolastico di premiare con denaro sonante la qualità professionale degli insegnanti, riconoscendo economicamente il loro merito. Detto così, che c’è di male? Sembrerebbe lapalissiano che chi merita di più prenda uno stipendio maggiore rispetto a chi merita di meno. Si sa, infatti, che non tutti gli insegnanti sono uguali. Come in ogni categoria, c’è chi è uno scansafatiche e c’è chi lavora con passione, chi gioca a perdere tempo e chi invece si impegna. E allora, che male c’è a riconoscere economicamente il merito?
Toccherà al dirigente scolastico questa brutta grana. La legge, come dicevamo, prescrive che egli, sulla base dei criteri stabiliti da un comitato di valutazione composto dallo stesso dirigente, che lo presiede, e da tre docenti, due genitori (un genitore e uno studente negli istituti superiori) e un componente esterno (docente, dirigente scolastico di altra scuola o dirigente tecnico), dovrà individuare i meritevoli tra i docenti che volontariamente abbiano fatto richiesta d’essere valutati, e assegnare loro del denaro in proporzione al loro merito, dando pubblico conto della scelta con le relative motivazioni, in ottemperanza alle disposizioni sulla trasparenza. Ogni scuola avrà in dotazione una somma annuale che varia dai 20.000 ai 30.000 euro (circa): quanti più insegnanti ne beneficheranno, tanto meno denaro avranno.