Un libro, anzi due. Il ‘900 sedotto dalla bellezza

Ci sono libri che più di altri si costituiscono come rappresentazione del tempo. Il libro di Joyce è uno di quelli. Se non fosse mai stato scritto, noi avremmo una percezione   del Novecento diversa da quella che abbiamo. Avremmo un’altra idea dell’uomo-massa, per esempio. Invece, il fatto che sia stato scritto ha determinato  una configurazione del secolo che rappresenta un punto di riferimento ineludibile. Indipendentemente dalla circostanza che il libro sia o non sia letto.

 Anche chi non lo ha letto, che ne ha soltanto e magari vagamente sentito parlare, indirettamente, forse anche inconsapevolmente  ha comunque avvertito le sue suggestioni, il riflesso dei suoi simboli, delle sue figurazioni.

Poi, una volta, mentre si parlava del più e del meno, quella persona che dormiva tenendosi accanto il libro di Joyce, disse che finalmente aveva capito. Finalmente aveva capito, disse, che quel libro era stato fatto apposta per non essere letto fino alla fine. Oppure che si poteva cominciare a leggerlo proprio dalla fine. Che si poteva leggere anche solo una pagina, disse. Sì, anche solo una pagina, perché una pagina sola vale quanto il libro per intero. In una pagina sola c’è tutto l’universo di linguaggio. Poteva bastare anche leggere una pagina sola, perché una parola avrebbe rinviato ad un’altra precedente o successiva, in quella stessa pagina, in quella stessa riga, e ad ogni lettura ogni parola avrebbe cambiato significato, e ogni parola avrebbe custodito tutti i significati che aveva avuto, sarebbe stata un pozzo senza fondo di significati, una miniera di meraviglie strabilianti.

Gli elementi che costituiscono la bellezza dell’Ulisse, sono gli stessi che fanno paura al lettore. Non è il numero di pagine che impaurisce. Piuttosto è la vastità di quell’universo, l’accecamento che provoca  la luce e l’angoscia che viene per il buio della sua prosa. E’ il continuo alternarsi della prospettiva, l’incalzare dei dialoghi che scardinano le logiche, le imboscate che gli eventi fanno al lettore.   

Ulisse come metaforica configurazione del Novecento, nonostante si sottragga a qualsiasi tentativo di collocazione cronologica, dunque.  

Ci sono libri che contribuiscono in maniera significativa alla costruzione dell’immaginario di un tempo. L’Ulisse è uno di questi. L’altro è la Recherche di Proust, per esempio: un altro tra i libri molto citati e poco letti. Viene da domandarsi per quale ragione proprio questi due libri così poco letti abbiano fornito materia all’elaborazione dell’immaginario del Novecento.

Forse, azzardando  si potrebbe rispondere che il motivo consiste  nella ininterrotta opera di interpretazione che questi due libri pretendono. Come il tempo del Novecento, in fondo. Si potrebbe anche dire che il motivo può essere determinato dalla complessità testuale che diventa speculare rispetto alla complessità sociale e culturale del Novecento. Forse si potrebbe dire, molto più semplicemente ma forse più verosimilmente, che l’immaginario si è lasciato sedurre dalla bellezza diversa ma ugualmente misteriosa di questi due libri, dal loro diluvio di parole, dalla  disarmonia incantevole del libro di Joyce, dalla sublime armonia del libro di Proust, dal loro equilibrio costantemente prossimo alla perfezione.  

 [“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 6 febbraio 2022]   

 

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