Su quelle sorgenti si affaccia,
peraltro, il dotto commento di Gianluca Virgilio che nelle note ai testi
rimanda accuratamente agli echi classici che risuonano in ciascuna delle Saturae, facendo venire la voglia, al
lettore, di recuperare per intero la memoria di quei versi immortali.
Ad una lettura superficiale la
silloge potrebbe sembrare un abile esercizio di stile ispirato ai modelli del
genere satirico, un gioco di rime, assonanze e consonanze, che ambirebbero a
riprodurre, con la loro corposità, ritmi e toni della satira antica, senza
forte aderenza dei temi alla realtà dei nostri tempi. Compaiono, infatti, nelle
Saturae, i bersagli tradizionali del
genere: la ruffiana (Mena, Nena, Lena),
il parassita (Lo sbafatore, Curculio), la prostituta (Nuova edizione, vecchio vizio), il
poetastro (Poeti della domenica).
Queste figure, però, non sono simulacri esangui perché l’autore le rimpolpa e
le ravviva traendo spunto dalla vita quotidiana.
Così è per uno dei suoi bersagli
polemici più ricorrenti, quello dell’intellettuale in voga, del poetastro di
gran successo, gonfio e tronfio non per i suoi meriti, ma per quella rete di
conoscenze importanti in cui ha saputo inserirsi. Non erano solo Catullo e i
poeti satirici romani di età imperiale a trovarsi di fronte questi figuri:
essi, pur in un contesto così lontano nel tempo, sono ancora una tipologia
umana presente nel panorama letterario salentino e italiano in genere, che
l’autore ben conosce, in cui gli amici della cricca si scambiano favori,
recensioni e premi. E se ci finisci in mezzo ti tocca pure- dice l’autore-
leggere e recensire libri orrendi, magari anche a Natale (Regalo di Natale). E sì perché il Satirico – come lo chiama il
commentatore- non assume pose da Catone: con la sua autoironia ricorda
piuttosto l’Orazio messo alla berlina per la sua incoerenza dal servo Davo
nella Satira II, 7. E mostra di
sapere bene che i ruoli si possono invertire e che dunque saranno i suoi fogli
– e non quelli dell’amico che vuol essere da lui recensito- “che serviranno al
massimo ad accartocciar gli sgombri” di catulliana memoria (Catalepton). E questo nella consapevolezza che, in fondo, quelle
di tutti sono “parole scritte nel vento”, data la precarietà umana.
Epperò la poesia e dunque le
parole hanno la potenza di infilzare, con l’arma appuntita della satira, i
traffichini di ogni risma, gli adulatori dei potenti, i vanesi. E allora perché
non servirsene, avrà pensato l’autore, magari per il piacere di un momento?
Prendono forma così pian piano,
nelle Saturae di Paolo Vincenti,
queste altre categorie su cui si appuntano i suoi strali satirici, a
rivitalizzare il genere: «mezzi uomini» li chiama l’autore (in Vanità di vanità), o «mezze figure» (in Vanagloriosi) che, soprattutto nei
salotti televisivi, sputano le loro gran sentenze nelle «trasmissioni
immondezzaio» (Trombati). Di fronte a categorie del genere non c’è solo
la letteratura antica come fonte
d’ispirazione per l’autore, ma anche quel mondo cortigiano su cui si era
esercitata la vena satirica di Ariosto: all’apologo finale della prima satira
del poeta emiliano viene da pensare, in particolare leggendo Beneficium accipere libertatem est vendere,
in cui l’adulatore redivivo è un intellettuale che, messosi sotto la protezione
di un pezzo grosso, sicuramente- dice l’autore- avrà «teatri pieni», «premi»,
«ottime recensioni», afferrerà «successo e celebrità», ma non saprà che in
questo modo avrà per sempre «venduto la libertà». E – aggiungiamo noi- avrà
perduto il connotato più autentico e più socialmente necessario
dell’intellettuale, la funzione critica, se è vero che “intellettuale” è colui
che intus legit, legge dentro la
realtà senza condizionamenti di sorta, libero, appunto. Cortigiani
è il testo più efficace di questo gruppo di satire perché offre tutto un
ventaglio moderno di questa «colluvie di servi», «simili a pecore che seguono
il cane pastore».
Un ultimo invito rivolgo al
lettore: a notare la maestria che in questo “lepido libello” l’autore mostra
nel maneggiare e manipolare parole vecchie e nuove, latinismi, neologismi,
termini dialettali, nel mescolare alto e basso, aulico e plebeo, ancora una
volta nel solco della tradizione del genere che anche in questo Paolo Vincenti rivitalizza.
[Prefazione a Paolo Vincenti, Saturae, Agave Edizioni 2022]
Saturae di Paolo Vincenti
Su quelle sorgenti si affaccia, peraltro, il dotto commento di Gianluca Virgilio che nelle note ai testi rimanda accuratamente agli echi classici che risuonano in ciascuna delle Saturae, facendo venire la voglia, al lettore, di recuperare per intero la memoria di quei versi immortali.
Ad una lettura superficiale la silloge potrebbe sembrare un abile esercizio di stile ispirato ai modelli del genere satirico, un gioco di rime, assonanze e consonanze, che ambirebbero a riprodurre, con la loro corposità, ritmi e toni della satira antica, senza forte aderenza dei temi alla realtà dei nostri tempi. Compaiono, infatti, nelle Saturae, i bersagli tradizionali del genere: la ruffiana (Mena, Nena, Lena), il parassita (Lo sbafatore, Curculio), la prostituta (Nuova edizione, vecchio vizio), il poetastro (Poeti della domenica). Queste figure, però, non sono simulacri esangui perché l’autore le rimpolpa e le ravviva traendo spunto dalla vita quotidiana.
Così è per uno dei suoi bersagli polemici più ricorrenti, quello dell’intellettuale in voga, del poetastro di gran successo, gonfio e tronfio non per i suoi meriti, ma per quella rete di conoscenze importanti in cui ha saputo inserirsi. Non erano solo Catullo e i poeti satirici romani di età imperiale a trovarsi di fronte questi figuri: essi, pur in un contesto così lontano nel tempo, sono ancora una tipologia umana presente nel panorama letterario salentino e italiano in genere, che l’autore ben conosce, in cui gli amici della cricca si scambiano favori, recensioni e premi. E se ci finisci in mezzo ti tocca pure- dice l’autore- leggere e recensire libri orrendi, magari anche a Natale (Regalo di Natale). E sì perché il Satirico – come lo chiama il commentatore- non assume pose da Catone: con la sua autoironia ricorda piuttosto l’Orazio messo alla berlina per la sua incoerenza dal servo Davo nella Satira II, 7. E mostra di sapere bene che i ruoli si possono invertire e che dunque saranno i suoi fogli – e non quelli dell’amico che vuol essere da lui recensito- “che serviranno al massimo ad accartocciar gli sgombri” di catulliana memoria (Catalepton). E questo nella consapevolezza che, in fondo, quelle di tutti sono “parole scritte nel vento”, data la precarietà umana.
Epperò la poesia e dunque le parole hanno la potenza di infilzare, con l’arma appuntita della satira, i traffichini di ogni risma, gli adulatori dei potenti, i vanesi. E allora perché non servirsene, avrà pensato l’autore, magari per il piacere di un momento?
Prendono forma così pian piano, nelle Saturae di Paolo Vincenti, queste altre categorie su cui si appuntano i suoi strali satirici, a rivitalizzare il genere: «mezzi uomini» li chiama l’autore (in Vanità di vanità), o «mezze figure» (in Vanagloriosi) che, soprattutto nei salotti televisivi, sputano le loro gran sentenze nelle «trasmissioni immondezzaio» (Trombati). Di fronte a categorie del genere non c’è solo la letteratura antica come fonte d’ispirazione per l’autore, ma anche quel mondo cortigiano su cui si era esercitata la vena satirica di Ariosto: all’apologo finale della prima satira del poeta emiliano viene da pensare, in particolare leggendo Beneficium accipere libertatem est vendere, in cui l’adulatore redivivo è un intellettuale che, messosi sotto la protezione di un pezzo grosso, sicuramente- dice l’autore- avrà «teatri pieni», «premi», «ottime recensioni», afferrerà «successo e celebrità», ma non saprà che in questo modo avrà per sempre «venduto la libertà». E – aggiungiamo noi- avrà perduto il connotato più autentico e più socialmente necessario dell’intellettuale, la funzione critica, se è vero che “intellettuale” è colui che intus legit, legge dentro la realtà senza condizionamenti di sorta, libero, appunto. Cortigiani è il testo più efficace di questo gruppo di satire perché offre tutto un ventaglio moderno di questa «colluvie di servi», «simili a pecore che seguono il cane pastore».
Un ultimo invito rivolgo al lettore: a notare la maestria che in questo “lepido libello” l’autore mostra nel maneggiare e manipolare parole vecchie e nuove, latinismi, neologismi, termini dialettali, nel mescolare alto e basso, aulico e plebeo, ancora una volta nel solco della tradizione del genere che anche in questo Paolo Vincenti rivitalizza.
[Prefazione a Paolo Vincenti, Saturae, Agave Edizioni 2022]