di G. Patrizia Morciano
Che cosa si può dire di più
adatto a questa silloge poetica di Paolo Vincenti se non che, ancora una volta,
l’autore ci restituisce una classicità riattualizzata? L’avevo scritto a proposito
di Al mercato dell’usato (Agave
Edizioni, 2020) e lo riconfermo per questa raccolta: Paolo Vincenti ha la
capacità di far rivivere il mondo della letteratura greca e latina, di
declinarlo nei tempi della nostra postmodernità, a riprova della sua perenne
attualità. E se nella precedente raccolta era salito sul terreno arduo del mito
ed era riuscito nell’impresa di riportarlo fra di noi, qui scende su quello
scabroso e perciò altrettanto difficile della satira, solo apparentemente meno
impegnativo (lo riconosceva già Orazio nel decimo componimento del suo primo
libro di Saturae).
Satura quidem tota nostra est, diceva orgogliosamente Quintiliano
in età imperiale, alludendo all’origine tutta romana di quel genere
caratterizzato, fin dall’età arcaica e dalla satira letteraria di Lucilio (III
sec.a. C.), dalla varietà dei contenuti e dall’interesse rivolto al quotidiano,
al domestico, al contemporaneo, al deviante da norme ideali di comportamento.
Ma i Romani sapevano benissimo che le premesse di quella poesia stavano
anch’esse nel mondo greco, nella commedia antica come in certi giambi di
Archiloco, Ipponatte e di altri autori dell’età arcaica (ancora una volta è
Orazio che ce ne esprime la consapevolezza nelle sue due satire di argomento
letterario, la IV e la X del primo libro). Anche della lezione di questi tiene
dunque conto la penna colta di Paolo Vincenti, soprattutto in quei testi in cui
sembra di sentire l’eco dell’aggressività giambica (L’onorevole La Minchia, Vot’Antonio!,
Cave canem, Mezzosangue).
Ma in questo libretto, a
proposito di echi, riaffiorano anche quelli delle forme artistiche
preletterarie che sono certamente alle origini della stessa commedia antica e,
in genere, di tutte le espressioni artistiche successive fondate sul ridiculum e sulla comicità, com’è
appunto la satira: certa licenziosità se non addirittura oscenità di alcuni dei
testi presenti nella raccolta (si pensi, tanto per fare qualche esempio, a Palinodia, a Nuova edizione, vecchio vizio, a Una pezza a colore, che ha un seguito ancora più licenzioso in Chi è causa del suo mal…) rinvia,
infatti, non solo a Catullo o all’Orazio, per esempio, degli Epodi, ma anche alle feste rituali
greche delle “Falloforie” in cui feticci dell’organo sessuale maschile venivano
portati in processione, con l’accompagnamento di canti osceni, o ai fescennini versus, versi licenziosi
scambiati nella Roma contadina delle origini, sempre con funzione apotropaica e
dunque recitati durante feste rituali nei campi o durante matrimoni, per
garantirsi il favore della divinità. Ovviamente anche nei versi dell’autore
moderno non c’è morbosità, ma lusus, il gusto di ricollegarsi a quest’antica
tradizione
Le Saturae di Paolo Vincenti sono
dunque come ponti a grandi arcate che ci riportano alle scaturigini della
poesia occidentale.
Saturae di Paolo Vincenti
di G. Patrizia Morciano
Che cosa si può dire di più adatto a questa silloge poetica di Paolo Vincenti se non che, ancora una volta, l’autore ci restituisce una classicità riattualizzata? L’avevo scritto a proposito di Al mercato dell’usato (Agave Edizioni, 2020) e lo riconfermo per questa raccolta: Paolo Vincenti ha la capacità di far rivivere il mondo della letteratura greca e latina, di declinarlo nei tempi della nostra postmodernità, a riprova della sua perenne attualità. E se nella precedente raccolta era salito sul terreno arduo del mito ed era riuscito nell’impresa di riportarlo fra di noi, qui scende su quello scabroso e perciò altrettanto difficile della satira, solo apparentemente meno impegnativo (lo riconosceva già Orazio nel decimo componimento del suo primo libro di Saturae).
Satura quidem tota nostra est, diceva orgogliosamente Quintiliano in età imperiale, alludendo all’origine tutta romana di quel genere caratterizzato, fin dall’età arcaica e dalla satira letteraria di Lucilio (III sec.a. C.), dalla varietà dei contenuti e dall’interesse rivolto al quotidiano, al domestico, al contemporaneo, al deviante da norme ideali di comportamento. Ma i Romani sapevano benissimo che le premesse di quella poesia stavano anch’esse nel mondo greco, nella commedia antica come in certi giambi di Archiloco, Ipponatte e di altri autori dell’età arcaica (ancora una volta è Orazio che ce ne esprime la consapevolezza nelle sue due satire di argomento letterario, la IV e la X del primo libro). Anche della lezione di questi tiene dunque conto la penna colta di Paolo Vincenti, soprattutto in quei testi in cui sembra di sentire l’eco dell’aggressività giambica (L’onorevole La Minchia, Vot’Antonio!, Cave canem, Mezzosangue).
Ma in questo libretto, a proposito di echi, riaffiorano anche quelli delle forme artistiche preletterarie che sono certamente alle origini della stessa commedia antica e, in genere, di tutte le espressioni artistiche successive fondate sul ridiculum e sulla comicità, com’è appunto la satira: certa licenziosità se non addirittura oscenità di alcuni dei testi presenti nella raccolta (si pensi, tanto per fare qualche esempio, a Palinodia, a Nuova edizione, vecchio vizio, a Una pezza a colore, che ha un seguito ancora più licenzioso in Chi è causa del suo mal…) rinvia, infatti, non solo a Catullo o all’Orazio, per esempio, degli Epodi, ma anche alle feste rituali greche delle “Falloforie” in cui feticci dell’organo sessuale maschile venivano portati in processione, con l’accompagnamento di canti osceni, o ai fescennini versus, versi licenziosi scambiati nella Roma contadina delle origini, sempre con funzione apotropaica e dunque recitati durante feste rituali nei campi o durante matrimoni, per garantirsi il favore della divinità. Ovviamente anche nei versi dell’autore moderno non c’è morbosità, ma lusus, il gusto di ricollegarsi a quest’antica tradizione
Le Saturae di Paolo Vincenti sono dunque come ponti a grandi arcate che ci riportano alle scaturigini della poesia occidentale.