Gli episodi sopra ricordati costituiscono dei tasselli di un mosaico, quello del regno degli Attalidi, che Virgilio ricostruisce sfruttando sapientemente tutti gli indizi che le iscrizioni gli offrono. Un quadro più generale è tracciato nel saggio “Fama, eredità e memoria degli Attalidi a Pergamo”, in cui Virgilio ricostruisce la diversa considerazione da cui essi sono accompagnati nella storiografia antica: fama negativa per Filetero, il fondatore della dinastia, e per Attalo III, l’ultimo sovrano, positiva invece per gli altri rappresentanti della famiglia (Attalo I, Eumene I, Attalo II ed Eumene II).
Un ulteriore momento della storia di Pergamo è illustrato da Virgilio attraverso una serie di epigrafi che riguardano la personalità e l’attività di Diodoro Pasparos nel I sec. a.C.: egli è un evergete, ossia un pubblico benefattore, a cui la città di Pergamo decreta vari onori per aver arrecato grandissimi benefici , fra i quali si ricorda quello di aver contribuito a combattere l’usura mettendo a disposizione delle somme da prestare a basso tasso di interesse.
Per quanto riguarda i santuari anatolici, ossia quei complessi religiosi indigeni che godevano di una certa autonomia, nel volume essi sono rappresentati dal santuario di Zeus a Labraunda e di quello del dio cario Sinuri, entrambi localizzati nell’Anatolia occidentale. Nel primo caso si tratta di una controversia con la vicina città di Mylasa, accusata dai sacerdoti del tempio di non rispettare le prerogative del territorio sacro di loro pertinenza. La controversia, che conosce alterne vicende, è composta dal re che riafferma i diritti della città sul santuario. Nel caso di Sinuri, il re interviene per ristabilire i diritti del santuario, il cui territorio ha subito un saccheggio e la deportazione di un certo numero di persone. Ma bisogna dire che questi studi costituiscono solo una parte dell’interesse di Virgilio per i santuari anatolici; un volume autonomo è dedicato a Il «tempio stato» di Pessinunte fra Pergamo e Roma nel II-I sec. a.C. (Pisa 1981).
Un capitolo importante degli studi di Virgilio è costituito dalla regalità ellenistica. Nel volume in esame il tema della monarchia è affrontato, oltre che nei documenti epigrafici, nei suoi aspetti generali e storici. Seguendo la traccia delle teorie politiche classiche, Virgilio osserva che la monarchia (che conobbe occasionali simpatie, ad es. in Senofonte ed Isocrate) “era in definitiva per i Greci una esperienza istituzionale remota, limitata, o perfino estranea e barbara” (p. 138). Essi avevano in mente il modello politico della polis, caratterizzata dal dominio delle leggi e dai valori dell’uguaglianza e della parrhesia (libertà di parola). La definizione della regalità come “potere non soggetto a rendiconto” (di ascendenza polibiana) misura la distanza tra la basileia ellenistica e le magistrature della polis, tutte regolarmente rendicontate. La riflessione di Polibio individua nel mondo ellenistico tre modelli politici ben individuabili. Se Roma è il modello perfetto con la sua costituzione mista, che contempera i pregi delle tre forme positive (la monarchia, l’aristocrazia e la democrazia), la Lega Achea, costituita in Grecia, rappresenta il governo della vera democrazia, mentre i regni ellenistici sono, come si è appena detto, un potere senza rendiconto. I sovrani ellenistici, nella visione di Polibio, sono in genere dispotici e opportunistici, e talvolta gretti; da questo giudizio negativo si salvano solo gli Attalidi di Pergamo. Tutte queste tematiche sono sviluppate con ben altra articolazione in un volume, il cui titolo Lancia, diadema e porpora. Il re e la regalità ellenistica (II ed. Pisa 2003) riassume emblematicamente i tre simboli che caratterizzano i re ellenistici: la lancia della conquista militare, che legittima il potere, il diadema (ossia la benda che cinge il capo del re) e la porpora del mantello che tale potere esprimono in pubblico. Tali simboli sono presenti in alcuni affreschi della villa di Boscoreale (presso Pompei) che nel I sec. a.C. riprendono in ambito romano tematiche sviluppate in Macedonia; se ne dà un puntuale resoconto in un articolo del volume in esame.
La modalità consueta con cui il re nel mondo ellenistico esprime la sua volontà nei confronti delle città suddite è la lettera reale. Essa costituisce un documento ufficiale e perciò è trascritta su stele, circostanza che ne ha consentito la conservazione. Oltre agli esempi citati sopra, Virgilio studia due altre corrispondenze epistolari. Una è costituita da una lettera con cui un sovrano (non chiaramente identificato) rimprovera un funzionario di non essere stato molto solerte nell’evitare che la città di Soli in Cilicia fosse danneggiata da soldati che si sono accampati sia all’esterno che all’interno di essa, occupando abitazioni private. Un’altra riguarda una lettera con cui un funzionario regio seleucide, del regno di Siria, dà disposizioni su varie materie agli abitanti della città di Limyra in Licia.
In quanto documenti ufficiali le lettere utilizzano un linguaggio convenzionale e diplomatico, che talvolta indulge all’autocensura di ciò che può risultare offensivo o controproducente. Ma, osserva finemente Virgilio, non per questo il tono delle lettere è asettico e monocorde; esso può variare in funzione delle circostanze e dei destinatari e può andare da un atteggiamento freddo e distaccato ad uno più apertamente autoritario. E talvolta il tessuto linguistico può rivelare, ad una lettura attenta, tratti di inquietudine e di confidenzialità.
Questi aspetti della corrispondenza reale, che nel volume in esame sono condensati nel saggio “Forme e linguaggi della comunicazione fra re e città”, sono stati oggetto di un libro specifico intitolato Le roi écrit. La correnspondance du souverain hellénistique, suivie de deux lettres d’Antiochos III à partir de Louis Robert e d’Adolf Wilhelm (Pisa Roma 2011).
Come dovrebbe essere risultato chiaro dall’ esposizione precedente, i documenti di partenza delle indagini di Virgilio sono le epigrafi; tuttavia il loro studio, pur condotto secondo i canoni scientifici della disciplina, non è mai isolato, ma è sempre integrato con i dati di altre discipline, quali l’archeologia e la numismatica, e con le fonti letterarie, in una prospettiva storica di ampio respiro. Virgilio si richiama alla lezione di Louis Robert, l’epigrafista francese che con le sue sistematiche esplorazioni dell’Asia Minore negli anni 30 e 40 del secolo scorso ha aperto la strada agli studi su quella regione.
Pur nella parzialità della selezione il volume offre un quadro abbastanza articolato dei processi di ellenizzazione e di romanizzazione dell’Asia Minore, delle dinamiche tra potere centrale e realtà locali, dei rapporti tra centri abitati e comunità agricole più o meno interessate da processi di acculturazione, e precisa l’immagine variegata che è propria del mondo ellenistico.
[“Il Galatino” 27 novembre 2015, p. 3]