La formazione di Comi, avvenuta lontano dall’Italia, risente delle influenze del simbolismo e dell’orfismo francesi che si risolvono in una continua tensione verso l’ignoto e conducono a una concezione della poesia come strumento capace di collegare il mondo fisico con quello trascendente, in linea con ciò che era stato teorizzato dal fondatore dell’antroposofia Rudolf Steiner, che esercitò grande influenza sul poeta di Lucugnano. Sulla scia di Sergio Solmi, che in una recensione non del tutto benevola nei confronti di Comi, definì la sua poesia «cosmica», Giannone mette in evidenza le caratteristiche principali delle raccolte Lampadario (1920), I rosai di qui (1921), Smeraldi (1925) e Boschività sotterra (1927), riconducibili a una prima fase della sua produzione che si connota per il motivo panteistico e panico. In questi componimenti si riscontrano, frutto dell’influenza del simbolismo, un vivido cromatismo e un frequente ricorso alle figure retoriche dell’analogia e della sinestesia. Negli anni Venti, trascorsi a Roma, Comi stringe un sodalizio umano e poetico con Arturo Onofri, l’unico con cui – come osserva Giannone – si notano effettive somiglianze, a partire dal valore che per entrambi ha la parola, una valenza da assimilare a quanto scritto all’inizio del Vangelo secondo Giovanni: il Logos è preesistente a qualunque cosa ed è eterno, dunque fuori dal tempo, e rappresenta l’archè, l’origine di tutto. Il fulcro della poesia di Comi, infatti, è costituito dalla parola-Verbo, che è partecipe all’intima essenza di ogni elemento della realtà, motivo per cui l’uomo si rivela in tutta la sua inadeguatezza a esprimere ciò che va ben oltre l’immanenza; appare pertanto indispensabile, per supplire a questa mancanza, una piena immersione nella natura, un’adesione dell’io ai ritmi degli elementi, che permetta di entrare in contatto con il mistero del creato e con l’ineffabilità dell’essere, per cogliere così il valore magico della parola, filtrata e purificata dalla memoria che tenta di riportarla allo stadio precedente la lingua stessa.
La parola comiana è segno di un universo linguistico coerente e preciso, che dà un senso all’ansia di assoluto che permea tutta la produzione del poeta di Lucugnano: si avverte un desiderio di totalità, una necessità di reductio ad unum di una molteplicità del reale che deve tornare a quello che Comi chiama «corpo-universo» (p. 14). Questa visione porta Comi a superare la sensualità panica, aprendo la strada a una poesia in cui si fa maggiormente sentire una vena religiosa, ma che è ancora intrisa di diversi riferimenti esoterici. Nei testi di questo periodo, in modo particolare a partire da Nel grembo dei mattini (1931), riveste sempre più importanza la luce, urgente e violenta, che è soprattutto metafora di purezza interiore.
Negli anni Trenta, grazie anche agli insegnamenti del sacerdote Ernesto Buonaiuti e al rapporto con il gesuita André de Bavier, Comi si converte al cattolicesimo, decisione di cui la sua poesia risente notevolmente, caricandosi di sfumature sempre più marcatamente spirituali e cristiane, distanti dunque da quel panteismo che aveva caratterizzato i precedenti componimenti. L’anima del poeta ora non deve solo conformarsi all’armonia cosmica ma deve meditare su se stessa e riscoprire l’elemento divino che racchiude: prende così il sopravvento la dimensione del sacro, che accentua la particolarità della poesia di Comi, già lontana dal filone lirico in auge a quel tempo. Nei componimenti di Cantico del creato viene dato risalto alle figure di Adamo ed Eva, che hanno vissuto in prima persona la «rottura» (p. 102), ossia il passaggio da una condizione edenica a quella peccaminosa con conseguente perdita della loro unità originaria: diventano pertanto l’emblema del dissidio che gli uomini avvertono nella loro interiorità, consapevoli dell’«Alba» violata (p. 103) che si vorrebbe riconquistare, ma ancora troppo legati ai desideri terreni. Su questa linea continuano le liriche scritte tra il 1939 e il 1952 che confluiranno in Spirito d’armonia (1954), come, ad esempio, il componimento Paganesimo di Adamo, in cui si avverte l’incapacità dell’uomo-poeta di distaccarsi dalle pulsioni del corpo che si oppongono alla purezza della dimensione spirituale. Dalla «fame […] di cose terrestri» (p. 121), dall’«ebbrezza» di osservare il creato (p. 131), si passa gradualmente al desiderio di totale abbandono a uno «spirito d’armonia» appunto, che sia in grado di scacciare ogni «ansia antica» (p. 145); si fa inoltre spazio il tema della morte, vissuta non in modo inquieto, ma come un evento atteso, necessario per conquistare quell’«immortalità che dal morire / erompe» (p. 139).
Fatta la sua prima apparizione in Spirito d’armonia, il tema amoroso rafforza la sua presenza in Canto per Eva (1958), restando però privo di precisi riferimenti autobiografici, tant’è che la stessa Eva del titolo è il simbolo di tutte le donne amate dal poeta. I componimenti risentono nuovamente di una forte carica sensuale e si nota anche una maggiore attenzione verso la dimensione fonica, grazie a soluzioni formali che perseguono sempre più una raffinata musicalità. L’approdo definitivo alla spiritualità si riscontra nell’ultima raccolta del 1966 Fra lacrime e preghiere, composta in un momento molto duro della vita di Comi, a causa del suo tracollo finanziario e dell’aggravarsi delle sue condizioni di salute; se, ogni giorno che passa, il corpo del poeta «si sfalda», la sua anima conquista una fede sempre più salda ed è pronta a «rinnovarsi / assunta nella sfera di un’altra alba» (p. 262).
Sebbene si possano individuare delle fasi, la poesia di Comi, come si può notare dalle raccolte prese in esame e come mette in evidenza Giorgino, riprendendo il giudizio di Vittorio Pagano, non subisce grandi variazioni nel corso del tempo. Sostantivi, aggettivi e verbi, infatti, si possono ricondurre a famiglie semantiche che, seppur ricche di sfumature interne, sono pressoché le stesse; questa apparente immobilità viene però controbilanciata dal ritmo, attraverso il quale Comi cerca di esprimere la sua vibrante tensione spirituale e di riprodurre l’armonia dell’universo.
La difficoltà, messa immediatamente in evidenza in tutti e tre i saggi contenuti nel volume, di collocare in un movimento culturale preciso la sua produzione sottolinea ancor di più la sua unicità e il suo sfuggire da ogni cronologia: come sostiene Giorgino, Comi potrebbe essere considerato un «classico» (p. 307), con la sua «inattuale attualità» di cui parla Giannone (p. XVI), espressione che rende bene il fascino della sua poesia. Non in un ultimo luogo, Comi va riscoperto per la sua fervida attività culturale che condusse una volta tornato a Lucugnano, nel 1946, fondando l’Accademia salentina e la rivista «L’Albero», cui collaborarono fra i più importanti intellettuali del tempo, ma che, in linea col temperamento del poeta, si occupò di temi esistenziali e religiosi, nettamente in contrasto con l’imperante Neorealismo di quegli anni. La dedizione totale alla poesia, l’eleganza stilistica dei suoi versi e l’anelito di una purificazione dal peccato attraverso la Grazia divina rendono la scrittura di Comi capace di parlare a tutti gli uomini di ogni epoca storica: ora grazie a questo volume, meritevole di attenzione da parte della critica, quest’intento è finalmente possibile.
[Recensione a: Girolamo Comi, Poesie. Spirito d’armonia. Canto per Eva. Fra lacrime e preghiere, a cura di Antonio Lucio Giannone e Simone Giorgino, Neviano, Musicaos, 2019, pp. L-347. Discussione pubblicata su «Sinestesie. Rivista di studi sulle letterature e le arti europee», XVIII, Avellino, Edizioni Sinestesie, 2020, pp. 724-727.]