Carte d’amore

 di Antonio Prete

Dire dell’amore è attraversare un paese che non ha confini. Osservare un cielo che si apre in un altro cielo. C’è qualcosa, nella parola amore, che è sempre al di là del suono che la dice.

Eppure, come la parola infinito, anche la parola amore, mentre si ritrae nell’inconoscibile, invita a un’interrogazione incessante. Appena pronunciata, si riempie di immagini: ognuna di quelle immagini è, per chi ascolta, respiro del proprio corpo. Della propria vita.

Ogni discorso sull’amore non è che il tentativo di scrutare quel che dinanzi ai nostri occhi si spalanca come un’interminata efflorescenza di luci. La similitudine è di Stendhal: «L’amore è simile alla via lattea nel cielo, un insieme risplendente formato da miriadi di piccole stelle, delle quali ognuna spesso è una nebulosa».

E tuttavia, come accade nell’osservazione celeste, il fascino dell’indagine è dato proprio dal sapere che il particolare sul quale volgiamo la nostra attenzione è circondato dall’inesplorato e dall’ignoto.

L’amore, d’altra parte, è un sentimento la cui esperienza è comune. Ma ciascuno partecipa a questo condiviso sentire con una sua singolarità: nomi, corpi, ricordi appartengono a quel che ognuno ha di più proprio. E di più riservato: da custodire nel silenzio. Immagini di un tempo interiore.

Interrogare l’amore, i suoi segni, i modi del suo manifestarsi, vuol dire affacciarsi su quel segreto groviglio che è l’umano sentire. Nella passione d’amore si possono infatti scorgere, come in un prisma, riverberi e figure che rinviano ad altri sentimenti. Perché l’amore – le parole sono di Leopardi – è «la più dolce, più cara, più umana, più potente, più universale delle passioni» (Zibaldone, 3610-11, 3 ottobre 1823).

Proprio per questo dell’amore si può dire soltanto per approssimazioni, o per frammenti. Oppure scegliendo, tra i suoi innumerevoli domini, solo un campo. Quel campo, nelle pagine che seguono, è la lingua. La lingua dell’amore. Una lingua che ha in sé anche il silenzio, e tutto quel che resiste a farsi parola. Una lingua che la poesia, la musica, il romanzo, il teatro, il cinema e le altre forme dell’arte hanno modulato senza sosta, tessendo lungo il tempo un sapere dell’amore.

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