di Rosario Coluccia
Nella prima metà del Duecento il grande imperatore svevo Federico II, «stupor mundi» (‘stupore del mondo’) e «puer Apuliae» (‘figlio della terra apula’), concepì il progetto di dare vita a uno stato siciliano e meridionale per quei tempi straordinariamente moderno, multiculturale e multilingue, aperto alle migliori intelligenze dell’epoca. Nonostante le mille attività di una vita sempre in movimento, tra guerre, crociate, contrasti con papi, con feudatari e con comuni, edificazione di città e di castelli (famosissimo Castel del Monte), promulgazione di editti e di regolamenti, fondazione dell’università di Napoli, battute di caccia col falcone, mogli e amanti, l’imperatore diede anche vita alla prima Scuola di poesia nata in Italia. Scuola indica un movimento con caratteri di omogeneità, se consideriamo la composizione sociale del gruppo di poeti (in prevalenza funzionari, cancellieri e notai legati alla corte imperiale), il breve arco di vita di quell’esperienza irripetibile (più o meno quattro decenni tra gli anni venti e gli anni sessanta del Duecento), la scelta di una lingua sostanzialmente unitaria (nonostante l’anagrafe dei singoli autori, nati in Sicilia, nel Mezzogiorno, anche in Toscana, perfino in Italia settentrionale).
Federico II non fu solo sollecitatore di poesia, fu poeta egli stesso: a lui si attribuiscono, in tutto, quattro canzoni e un sonetto. Che poi egli sia stato poeta di non eccelse qualità, non incide per nulla sul fatto che, senza le sue eccezionali capacità di promotore e di organizzatore e senza le condizioni culturali e politiche da lui create, quella meravigliosa Scuola poetica non avrebbe potuto prender vita. Nonostante quanto qualcuno continua a sostenere (ripetendo tesi senza fondamento scientifico), la scelta linguistica di quei poeti fu una sorta di impasto a base siciliana, un “siciliano illustre” collocato ai livelli “alti”, su un registro impreziosito dalla presenza potente del latino e del modello provenzale. Nulla di specificamente salentino, sia chiaro una volta per tutte. Anche se allusioni a località pugliesi (pochissime, non salentine) è possibile rintracciare qua e là, nei testi della Scuola poetica siciliana. Ecco quel poco (davvero poco) che viene fuori.